mercoledì 27 giugno 2012


Residui di antibiotici, chemioterapici e inquinanti ambientali negli alimenti. 

Quando costituiscono un’allerta


Carlo Cantoni 

L.D. in Ispezione alimenti origine animale – via Corridoni, 41 – 20122 Milano 

Il sistema di allerta rapido Comunitario per gli alimenti ed i mangimi 


Le basi del sistema di allerta rapido per gli alimenti e per i mangimi sono rappresentati dal Regolamento CE 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
Lo scopo del sistema di allerta rapido per gli alimenti e per i mangimi (RASFF: Rapid alert system for food and feed) è quello di fornire alle Autorità di controllo gli strumenti per uno scambio di informazioni sulle misure adottate per garantire la sicurezza alimentare.
Le tipologie di notifica previste dal sistema di allerta rapido sono suddivise, a partire dal 1 gennaio 2008, in:

• Notifiche di allerta
• Notifiche d’informazione
• respingimenti al confine

LE NOTIFICHE DI ALLERTA
Le notifiche di allerta vengono inviate quando un alimento o un mangime che rappresenta un serio rischio per la salute si trova sul mercato e quando è richiesta un’azione immediata.
Le allerte vengono notificate dagli Stati membri che hanno individuato il problema ed hanno intrapreso delle misure di controllo e di prevenzione, quali il ritiro/richiamo del prodotto.
La notifica ha lo scopo di fornire a tutti i partner del network (la Commissione Europea e gli Stati membri) le informazioni per verificare se il prodotto in questione e sul mercato, in modo che tutti possano adottare le necessarie misure.

LE NOTIFICHE INFORMATIVE
Le notifiche informative riguardano un alimento o un mangime immesso in commercio, per il quale sia stato identificato un rischio, ma per il quale i componenti del network non sono tenuti ad adottare misure immediate in quanto il prodotto non ha raggiungo il loro mercato o non è più presente sullo stesso, oppure perché la natura del rischio non determina la necessità di adottare azioni immediate.

I RESPINGIMENTI AL CONFINE
Queste notifiche interessano partite di alimenti e mangimi che sono state controllate e respinte ai confini della UE (e della EEA*) quando è stato identificato un rischio per la salute.
Le notifiche vengono inviate a tutti posti di ispezione frontaliera dell’EEA in modo da rafforzare i controlli ed assicurare che il prodotto respinto non venga reintrodotto nella Comunità attraverso un altro punto di confine.

I rapporti della Commissione

La Commissione pubblica settimanalmente un rapporto riguardante le notifiche delle tre categorie succitate.
Nell’ottica di bilanciare i principi di trasparenza con quelli relativi alla protezione delle informazioni commerciali, in nomi dei prodotti e quelli dei produttori non sono pubblicati.
La Commissione informa le Autorità competenti dei Paesi terzi circa le notifiche riguardanti prodotti provenienti da tali Stati. Tuttavia il fatto che uno Stato venga indicato come l’origine del prodotto non implica necessariamente che il pericolo identificato sia originato nello Stato oggetto della notifica.
Le informazioni che vengono inviate con le notifiche riguardano:

• quale tipo di controllo, rapporto o indagine è alla base della notifica
- controllo ufficiale
- autocontrollo
-segnalazione da parte del consumatore
- tossinfezione alimentare
• quale Nazione ha inviato la notifica
• quale è la ragione della notifica
- tipo di alimento o mangime
- tipo di pericolo
• quale è la Nazione in cui è stato identificato il pericolo
• quale è lo stato del prodotto e quale l’azione intrapresa o richiesta
* European Economica Area (Liechtenstein, Norvegia e Islanda).


Il sistema rapido di allerta e il principio di precauzione

Il rapido sviluppo tecnologico non permette di conoscer in modo approfondito tutte le possibili interazioni dei nuovi prodotti abiotici con gli organismi viventi e l’ambiente. Per affrontare ed evitare questo genere di pericoli i paesi industrializzati si sono dotati di uno strumento giuridico definito “principio di precauzione, il quale in situazioni di incertezza scientifica conferisce all’autorità la facoltà di adottare le misure preventive necessarie, qualora fossero venuti a conoscenza, o ipotizzassero, effetti dannosi per la salute o per l’ambiente in attesa di ulteriori elementi per una più esauriente valutazione dei rischi.
In base a quanto stabilito dalle Linee guida per la gestione operativa del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano e mangimi i provvedimenti di allerta si applicano ogniqualvolta esista un grave rischio, diretto o indiretto, per la salute umana, animale e per la salubrità dell’ambiente, dovuto ad alimenti o mangimi già immessi sul mercato, nei casi di:

1. superamento nell’alimento o nel mangime dei limiti fissati dalle normative vigenti in materia di sicurezza alimentare;
2. alimenti dannosi per la salute o inadatti al consumo umano, qualora rappresentino un grave rischio per la salute del consumatore. A tal fine bisogna considerare quanto previsto dall’articolo 14 del Regolamento (CE) n. 178/2002;
3. mangimi che hanno un effetto nocivo per la salute umana o animale. A tale fine bisogna considerare quanto previsto dall’art. 15 del Regolamento (CE) n. 178/2002.
Analogamente si applicano anche ai prodotti intermedi di alimenti e mangimi, qualora rappresentino un grave rischio, diretto o indiretto, per la salute umana, animale e per la salubrità dell’ambiente, e siano già immessi sul mercato, nonché ai materiali e agli oggetti destinati ad entrare in contatto con gli alimenti di cui al Regolamento (CE) n. 1935/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004.
Sono compresi nel campo di applicazione anche eventuali riscontri ottenuti nell’ambito dell’autocontrollo su alimenti o mangimi già immessi sul mercato.

Valutazione del rischio o del pericolo

L’art. 14 del Reg. CE 178/02 definisce le qualifiche di alimenti dannosi per la salute e alimenti inadatti per il consumo umano.
Per determinare se un alimento è a rischio, occorre prendere in considerazione quanto segue:
a) le condizioni d’uso normali dell’alimento da parte del consumatore in ciascuna fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione;
b) le informazioni messe a disposizione del consumatore, comprese le informazioni riportate sull’etichetta o altre informazioni generalmente accessibili al consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento o categoria di alimenti.
Per determinare se un alimento è dannoso per la salute occorre prendere in considerazione quanto segue:
a) non soltanto i probabili effetti immediati e/o a breve termine, e/o a lungo termine dell’alimento sulla salute di una persona che lo consuma, ma anche su quella dei discendenti;
b) i probabili effetti tossici cumulativi di un alimento;
c) la particolare sensibilità, sotto il profilo della salute, di una specifica categoria di consumatori, nel caso in cui l’alimento sia destinato ad essa.
In sintesi il principio di precauzione è un utile stratagemma per escludere dall’alimentazione alimenti contaminati indipendentemente dalla loro certa tossicità per il consumatore.
Per determinare se un alimento è inadatto al consumo umano occorre prendere in considerazione se l’alimento sia inaccettabile per il consumo umano secondo l’uso previsto, in seguito a contaminazione dovuta a materiale estraneo o ad altri motivi, o in seguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione.
Nei casi sopra richiamati, si devono pertanto avviare le procedure di ritiro e/o richiamo (se l’alimento ha già raggiunto il consumatore finale e se altre misure non sono considerate sufficienti) informando la ASL territorialmente competente della procedura.


Le notifiche

Sono disponibili quattro tipi di notifica:
1) Comunicazioni di allerta. Vengono inviate al RASPF quando alimenti o mangimi che presentano un grave rischio sono presenti sul mercato e sui quali è necessario intervenire in tempi brevi.
2) Comunicazioni informative. Queste vengono utilizzate in situazioni simili, ma che non prevedono tuttavia una reazione immediata da parte degli altri Stati membri poiché il prodotto non è disponibile sul mercato e il rischio non è considerato grave.
3) I respingimenti ai confini. Essi riguardano le partite di alimenti e mangimi sottoposte ad esame e respinte al di fuori dei confini della UE quando viene rilevato un rischio per la salute.
4) Informazioni (Notizie). Comprendono tutte quelle relative alla sicurezza degli alimenti e dei mangimi che non sono state comunicate come allerta o informative, ma comunque giudicate di interesse per le autorità di controllo e vengono trasmesse ai membri con la qualifica di notizie.

Principi di tossicologia alimentare TDI e ADI 

La dose tollerabile assumibile è la stima della quantità di un contaminante chimico presente nell’alimento o nell’acqua che può venire ingerita giornalmente per tutta la vita senza provocare un rischio significativo per la salute. I “contaminanti” sono differenti dai “residui” in questo senso: un contaminante è una sostanza chimica la cui presenza non serve (e non ha mai servito), per qualche scopo utile.
Così i TDI sono distinti dalle ADI (dose giornaliera accettabile) che si riferiscono ai residui di sostanze chimiche aggiunte deliberatamente aggiunte a un prodotto alimentare come, ad esempio, gli additivi, i residui di pesticidi o i farmaci veterinari.
Le valutazioni si basano sull’analisi di tutte le informazioni tossicologiche disponibili, compresa l’osservazione e le prove su esseri umani e animali (topi, ratti, conigli, scimmie ecc.). In materia di alimenti non si tratta quasi mai di tossicità acuta.

Il TDI viene così determinato
TDI = (NOAEL o LOAEL/UF)
dove:

- NOAEL = livello di effetto avverso non osservato
- LOAL = livello più basso di effetto osservato
- UF = fattore di incertezza

ADI
Per prima cosa viene determinata sperimentalmente la dose corrispondente all’effetto zero (NOAEL), cioè la quantità di contaminante o di additivo che può venire somministrata giornalmente negli animali senza alcun effetto osservabile (anche solo comportamentale).
Esempio
NOAEL = 0,07 mg/kg
Poi si procede al calcolo della Dose Giornaliera Ammissibile (ADI = Accettable Daily Intake) per l’essere umano aggiungendo al valore NOAEL un largo fattore di sicurezza di solito uguale a 150, e tenendo conto di un peso medio per l’essere umano di kg 60.
Il fattore di sicurezza tiene conto da una parte, della variabilità tra le cavie, dall’altra delle incertezze dovute
all’estrapolazione animale/uomo ADI = 0,7 × 60/100 = 0,04 mg/persona/giorno
Il valore limite /VL) viene estrapolato dalla ADI tenendo conto del consumo medio giornaliero della derrata; sarà quindi più restrittivo per l’acqua potabile consumata quotidianamente in larga quantità (2 kg al giorno) per una spezia usata saltuariamente a piccole dosi (0,01 kg al giorno)
VL per × per l’acqua 0,04/2 = 0,04 mg/kg di acqua
VL per × per una spezia 0,04/0,001 ) 40 mg/kg di spezia
Si deve sottolineare che il valore limite non rappresenta un livello di tossicità; indica invece un livello di assunzione prudenziale.

Contaminanti chimici

I contaminanti chimici possono derivare sia da materie prime utilizzate per la produzione del prodotto alimentare, sia da diffusione e cessioni dei materiali di confezionamento o dagli impianti, sia da residui di pratiche agronomiche (pesticidi, fitofarmaci, antiparassitari ecc.), residui di pratiche zootecniche (anabolizzanti, ormoni ecc.) etc.

Aromi

Gli aromi sono composti usati per conferire odore e/o sapore agli alimenti. La legislazione comunitaria e nazionale definisce diversi tipi di aromi.

Materiali a contatto con alimenti 

Gli oggetti destinati al contatto con alimenti (utensili da cucina, da tavola, recipienti, imballaggi etc.) sono soggetti a vigilanza da parte dell’autorità sanitaria.

Residui di farmaci veterinari e sostanze proibite negli alimenti di origine animale 

Le sostanze proibite possono essere anabolizzanti (inducono un incremento ponderale dell’animale) o farmaci (l’UE stabilisce un limite massimo) o contaminanti ambientali (metalli pesanti, composti organo clorurati etc.).

Additivi


Per “additivo alimentare” si intende qualsiasi sostanza aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico.


Contaminanti 

I contaminanti sono sostanze non aggiunte intenzionalmente agli alimenti e la cui presenza può derivare dall’ambiente, dalla coltivazione e/o dal processo produttivo.

Enzimi 

Per “enzima alimentare” s’intende un prodotto che è aggiunto ad alimenti per uno scopo tecnologico in una qualsiasi fase di fabbricazione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o conservazione degli stessi.

Residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale 

Al momento della loro immissione in commercio, i prodotti di origine vegetale non devono contenere residui di sostanze attive nei prodotti fitosanitari, superiori ai limiti massimi di residui stabiliti per legge.

Legislazione additivi (D.M. 27/2/1996 n. 209; D.M. 27/2/2008; D.M. 4/3/2008).
Pesticidi (Reg. CEE n. 396/2005; Reg. CE n. 149/2008 del 29/1/2008; Reg. CE n. 260/2008 del 18/3/2008; Reg. CE n.830/2008 del 31/7/2008).
Farmaco veterinario: D.Lgs. n. 193 del 6/4/2006 (G.U. n. 121 del 26/5/2006).
Reg. CE n. 1881/2006 del19/12/2006.
Reg. n. 2073/1441.
In quest’ultimo regolamento sono definiti i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari quali:
- nitrati,
- micotossine (aflatossine, ocra tossina A, patulina, deossinivalenolo, zearalenone, burnonisine, tossine T-2 e HT2),
- metalli pesanti (Piombo, Cadmio, Mercurio),
- 3-monocloro-1,2-propandiolo,
- Diossine,
-PCB,
- idrocarburi policiclici aromatici.

Le notifiche di allerta degli anni 2008, 2009 e 2010-03-29 

Prodotti della pesca

Nel corso del 2008 le notifiche che hanno riguardato i prodotti della pesca sono state 449.
Il maggior numero di notifiche si riferiscono a contaminazioni da metalli pesanti (120), seguite da contaminazioni di natura microbiologica (70), dalla presenza di residui di farmaci veterinari (62), additivi alimentari (46), biocontaminanti (44), parassiti (39), contaminazioni chimiche (10), presenza di tossine (2), coloranti (2), corpi estranei (2).
Di seguito vengono analizzati nel dettaglio i rischi maggiormente riscontrati.


Metalli pesanti

I metalli pesanti riscontrati nei prodotti della pesca sono mercurio (85), soprattutto in pesci, e cadmio (35), riscontrato soprattutto in crostacei e molluschi. Il grafico mostra i valori in percentuale di mercurio e cadmio.
L’origine dei prodotti è varia, ma i paesi col maggior numero di notifiche sono Spagna (39), Francia (16) e Vietnam (13).

Residui di farmaci veterinari

La maggior parte delle segnalazioni pervenute per residui di farmaci veterinari, riguarda la presenza di nitro furani (53).
L’origine dei prodotti è varia, ma i paesi col maggior numero di notifiche sono India (29), Bangladesh (14) e Cina (7).

Additivi alimentari 

La maggior parte delle segnalazioni pervenute per additivi, riguarda la presenza di solfiti (38).
L’origine dei prodotti è varia, ma il paese col maggior numero di notifiche è la Tunisia (15).

Biocontaminanti

Quasi tutte le segnalazioni riguardano la presenza di istamina (38), altre 6 segnalazioni hanno riguardato biotossine algali DSP (4), ASP (1) e AZP (1).
L’origine dei prodotti è varia, ma il paese col maggior numero di notifiche è lo Sri Lanka (13).


Contaminanti chimici 

Nel 2008 le notifiche pervenute per contaminanti chimici sono state 10.

Oltre la metà delle segnalazioni riguardano la presenza di benzopirene (6) e solo 2 diossina e PCB, rispetto alle 16 del 2007.
L’origine dei prodotti è varia

Prodotti della carne (escluso pollame) 
1 relativa alla presenza di solfiti.
1 relativa ai metalli pesanti e 5 a residui di farmaci veterinari.

Pollame
2 notifiche per presenza di residui di farmaci, 1 di fitofarmaci.

Livelli di contaminanti rilevati
Solfiti 150 mg/kg.
Istamina 566-876-1.000 mg/kg.
Nitrofurani, nitrofurazone (SEM) da 1,1 .g/kg ) ppb a 4,5-5 .g/kg.
Mercurio da 1,3 a 2,2 mg/kg.
Benzopirene 4,6 .g/kg = ppb.


Notifiche nel 2009 

Prodotti della pesca

Nel corso del 2009 le notifiche che hanno riguardato i prodotti della pesca sono state 712, in aumento rispetto alle 449 del 2008.
Il maggior numero di notifiche si riferiscono a contaminazioni da metalli pesanti (151), seguite da contaminazioni di natura microbiologica (98), dalla presenza di residui di farmaci veterinari (97), parassiti (70), biocontaminanti (53), additivi alimentari (32), contaminazioni chimiche (20), presenza di tossine (8), coloranti (5), corpi estranei (3), migrazione (1), residui di pesticidi (2).
Di seguito vengono analizzati nel dettaglio i rischi maggiormente riscontrati.

Metalli pesanti 

I metalli pesanti riscontrati nei prodotti della pesca sono mercurio (92), soprattutto in pesci, e cadmio (59), riscontrato soprattutto in crostacei e molluschi.
L’origine dei prodotti è varia, ma i Paesi col maggior numero di notifiche sono Francia (35), Spagna (23) e India (12).


Residui di farmaci veterinari

Le segnalazioni pervenute per residui di farmaci veterinari sono state 97, la maggior parte delle quali riguarda la presenza di nitro furani (87).
L’origine dei prodotti è varia, ma i Paesi col maggior numero di notifiche sono Bangladeh (49), India (30), e Sri Lanka (6).

Additivi alimentari 

La maggior parte delle segnalazioni pervenute per additivi, riguarda la presenza di solfiti (18).
L’origine dei prodotti è varia.

Biocontaminanti e tossine

Il maggior numero di segnalazioni riguarda la presenza di istamina (52), seguita dalle biotossine algali (8). Una notifica ha riguardato la presenza di tossina botulinica.
L’origine dei prodotti è varia.

Contaminanti chimici 

Nel 2009 le notifiche pervenute per contaminanti chimici sono state 20.
Oltre la metà delle segnalazioni riguarda la presenza di benzopirene (13), 6 diossine e 1 triptamina.
L’origine dei prodotti è varia.

Prodotti della carne (escluso pollame) 
Nel corso del 2009 le notifiche che hanno riguardato i prodotti della carne, escluso pollame, sono state 141, rispetto alle 120 del 2008.
La metà delle notifiche ha riguardato contaminazioni di natura microbiologica (70), principalmente salmonella (48). Le altre contaminazioni sono riassunte nel grafico seguente.


Pollame 
Sono 13 notifiche riguardanti residui di farmaci veterinari.
Notifiche 2010 (primi 3 mesi)
Nei primi 3 mesi sono state notificate allerte per
istamina (Thunnus albacares)
cadmio 2,05,26 mg/kg 2,482 mg/kg (Cancer pagurus)
8,29 mg/kg (Cancer pagurus)
3,12 mg/kg (Cancer pagurus)
1,25 mg/kg (calamari)
4,51 mg/kg (Cancer pagurus)
2,48 mg/kg (Cancer pagurus)
6,89 mg/kg (Cancer pagurus)
mercurio 1,6 (Xiphias gladius)
2,9 mg/kg (Scolodion laticaulus)
1,3-1,9 mg/kg (Xiphias gladius)
3,9 mg/kg (Lamna nasus)
1,45 mg/kg (Xiphias gladius)
2,04 mg/kg (Xiphias gladius)
2,18 mg/kg (Xiphias gladius)
1 mg/kg (calamari)
2,0 mg/kg (Oxirinchus burus)
4,06 mg/kg (Xiphias gladius)
1,40 mg/kg (Xiphias gladius)
1,41 mg/kg (Lamna nasus)
ASP 24-31,8-43,3-78,6 in molluschi bivalvi e in Pectinidi
solfiti 314 mg/kg (mazzancolle tropicali Penaeus vannamei)
diclazurile 4 mg/kg (petto pollo salato)

Livelli di contaminanti rilevati 

Alimenti
tonno e derivati, barracuda, filetti Prionace glauca, Xiphias gladius, Black marlin, filetti di Epinephulus malabaricus, pesce affumicato, squalo
Mercurio
da 0,979 mg/kg = ppm a 4,32 mg/kg = ppm
Cancer pagurus, fegato di C. pagurus, sardine in scatola, seppia, calamari
Cadmio 
da 0,170 mg/kg a 32,5 mg/kg
spratti in scatola, rana pescatrice, pesce affumicato, gamberetti affumicati, pesce gatto, spratti affumicati, Clarias anguillaris, Gymnareus nyloticus
Benzopirene
da 8,4 .g/kg a 54,41 .g/kg = ppb
pesce affumicato, gamberetti, budello suino
Nitrofurani furanolidone (AOZ) nitrofuranolidone (SEM) 
2,6 .g/kg – 13 .g/kg = ppb
5,5 .g7kg – 22 .g/kg = ppb
13,10 .g/kg
petto di pollo, paté di fegato di pollo, fegato di pollo
Nicarbazina
140 .g/kg – 310 .g/kg
filetti trota
Enroflaxacina
210 .g/kg ) ppb
coniglio disossato
Cloramfenicolo
4 .g/kg ) ppb
gamberetti
Solfito
314-810 mg/kg
filetti di trota affumicata
Leucomalachite 
da 2,63 .g/kg a 4,76 .g/kg = ppb
filetti trota
Verde malachite 
2,06 .g/kg = ppb
fegato di merluzzo, fegato di montone
Diossina + diossina simili e policlorobifenili 
da 27,8 pg/TEQ/g a 57,27 pg/TEQ/g
sardine, sarde, tonno in scatola, pasta di pesce, tonno
Istamina 
da 444 mg/kg a 2229 mg/kg
Ac. domoico
22,1 mg/kg
mitili 
Tossina diarroica
presenza
Biotossine algali
Limiti tollerati
PSP 800 .g/kg
ASP 20 mg/kg
DSP 160 mg/kg
YTXs 1 mg/kg
AZA 160 mg/kg
(Reg. CEE n. 853/2004; Arcangeli G.; Boldrati G. e Pirazzoli P. (2003)).

La ASP (Amnesic Shellfish Poisoning) 

Da tempo le Dinoflagellate sono ritenute responsabili delle biointossicazioni in vari mari del mondo; nel 1987 invece le Diatomee – attraverso l’ingestione di mitili tossici – causarono in Canada 153 casi di intossicazione acuta. I sintomi di questa biointossicazione includono vomito e diarrea che in alcuni casi vengono seguiti da stato confusionale e perditadella memoria, disorientamento ed in casi estremi coma. È stato stabilito che la biotossina è l’acido domoico, un amminoacido neurotossico che agisce sui recettori degli amminoacidi eccitatori (ac. glutammico ed ac. aspartico) e quindi sulla trasmissione sinaptica.
Attualmente il livello di tolleranza dell’acido domoico per la sicurezza sanitaria del consumatore è di 20 .g/g secondo il metodo di analisi HPLC. Oltre alla metodica HPLC, è disponibile un metodo di dosaggio biologico sui recettori dell’ac. glutammico che si basa sui meccanismi d’azione a livello molecolare nelle sinapsi.
La presenza in Mediterraneo – in particolare in Adriatico – di Diatomee del genere Nitzschia contestualmente al verificarsi del fenomeno c.d. “mucillagine” nelle estati 1988, 1989 e 1991 ha fatto temere un possibile rischio per la salute pubblica da biointossicazione di tipo ASP. Le analisi condotte sia su campioni di plancton che di mitili esclusero la presenza di acido domoico nel materiale esaminato (stando alla sensibilità del metodo allora impiegato).

La DSP (Diarrhetic Shellfish Poisoning)

La biointossicazione DSP è stata recentemente (1978) differenziata, sia per sintomatologia che per eziologia, dalle sindromi PSP ed NSP. Il quadro sintomatologico è di tipo gastrointestinale, consistendo in nausea, vomito e diarrea; a differenza della PSP, non vengono segnalati casi letali. La prima intossicazione causata da queste tossine è stata segnalata nel 1978 in Giappone; successivamente sono stati interessati anche alcuni paesi europei come la Francia, la Spagna, l’Irlanda, la Norvegia e la Svezia. L’Italia è stata interessata dal fenomeno nel 1989, nel mar Adriatico, con diversi casi di intossicazioni.
Differenze da un punto di vista quantitativo, riguardo il contenuto di tossine DSP negli organismi concentratori, si possono trovare anche tra le diverse specie di molluschi, poiché non tutti accumulano le tossine allo stesso modo. Generalmente la massima tossicità si rinviene in Mytilus edulis, Mytilus galloprovincialis ed anche in Patinopecten yessoensis.
Ostriche e noci di mare (Venus verrucosa), raccolte in zone in cui i mitili erano altamente contaminati, non hanno mostrato tossicità DSP, mentre le vongole raggiungono in genere il 40% della tossicità dei mitili e Donax quasi il 60%. La sintomatologia è evidenziata da diarrea, nausea, vomito e dolori addominali e l’evoluzione di questa intossicazione è sempre positiva.
Le specie di microalghe planctoniche da ascrivere tra i produttori di biotossine DSP o comunque potenzialmente tossiche sono dinoflagellati appartenenti al genere Dinophysis. Oltre che in Dinophysis, le biotossine DSP sono presenti anche nel dinoflagellato bentonico Prorocentrum lima e in Prorocentrum concavum.
In Adriatico sono da sempre state rinvenute varie specie di Dinophysis, comprese quelle da responsabili di sindrome DSP; in concomitanza con gli episodi di intossicazione del 1989, è stata rilevata la presenza di D. fortii, D. tripos, D. caudata, D. cf. acuminata.

La PSP (Paralytic Shellfish Poisoning) 

In alcune aree costiere ostriche, mitili, capesante, molluschi gasteropodi oltre ad alcune specie di crostacei e di pesci possono occasionalmente diventare tossici in periodi circoscritti dell’anno e causare nell’uomo una sindrome neurotossica come “Paralytic Shellfish Poisoning”, PSP. La biotossina determina il blocco della trasmissione degli impulsi nervosi (blocco dei canali del sodio) con conseguente paralisi e, talvolta, morte del soggetto intossicato per asfissia.

La sindrome PSP è scatenata dalla saxitossina (una tossina idrosolubile di natura basica derivante da un nucleo purinico) e da 18 altri composti con proprietà chimiche simili. La saxitossina è stata la prima tossina di questo gruppo ad essere isolata e caratterizzata ed ha acquisito il nome proprio dal mollusco che l’accumulava (Saxidomus giganteus). Successivamente sono state caratterizzate più di 20 molecole analoghe. Le alghe responsabili della produzione di queste tossine appartengono al genere Alexandrium  (precedentemente erano classificate come appartenenti al genere Gonialaux).
Le intossicazioni provocate da questa tossina sono piuttosto serie: avendo attività neurotossica, inibiscono i recettori delle cellule nervose. La sintomatologia si sviluppa velocemente dopo l’ingestione dei molluschi contaminati, con parestesia facciale e degli arti, astenia muscolare e, nei casi gravi (in dipendenza della dose della tossina ingerita), paralisi respiratoria e morte.
In Adriatico, le specie algali potenzialmente implicate nella sintesi di queste biotossine sono Dinoflagellati del genere Alexandrium, segnalati per la prima volta in Adriatico (e in tutto il Mediterraneo) nel 1982, probabilmente provenienti dalle coste francesi dell’Atlantico.
I dati analitici di più recente pubblicazione, relativi a campionamenti su mitili del golfo di Trieste, della costa
dell’Emilia Romagna e della baia di Kastela (HR) indicano che il livello di tossicità raggiunto è molto basso, ma che il “problema PSP” potrebbe rappresentare un rischio potenziale per questa regione. Nel maggio 1993 è stato registrato nei mitili dell’Emilia-Romagna un livello di 192 .g PSP/100 g di tessuto. Osserviamo che il livello di soglia adottato in USA e Canada e successivamente nell’UE ed in Italia (80 .g PSP/100 g di tessuto) è più di 10 volte minore del più basso valore di concentrazione di biotossina che ha fatto registrare casi di intossicazione nei recenti episodi europei.
Il Reg. n. 853 stabilisce che i molluschi bivalvi destinati al consumo umano possono contenere biotossine algali del tipo PSP in quantità non superiore a 80 microgrammi per 100 gr di polpa.

Confronto tra i valori riscontrati e i limiti legali e loro eventuale tossicità per il consumatore 

Istamina
A) Sensibilità dell’essere umano:
livelli riscontrati leggera a 5-40 mg/100 g
da 44 mg/100 g a 222 mg/100 g moderata per 40 mg/100 g
severa per 100 mg/100 g
B) In base a studi su intossicazione di consumo di pesce:
<5 mg/100 g (assenza di effetti tossici per il consumatore)
5-20 mg/100 g soglia di attenzione
20-100 mg/100 g probabilmente tossicità
>100 mg/100 g pesce tossico e non consumabile
C) 60 mg/100 g tossica (Shalaby)

Istamina (Sgombrotossina) 
Per sgombrotossina si intende una miscela di tossine costituita prevalentemente da istamina con altre molecole istaminosimili (putrescina e cadaverina) che talvolta si trovano in elevate concentrazioni in alcuni pesci. L’intossicazione è causata da prodotti ittici quali lo sgombro, in tonno, la sardina, il salmone, l’anchoveta (acciuga peruviana), il marlyn e anche da altri pesci non necessariamente appartenenti alla famiglia degli Sgombriformi. Tutte quelle specie ittiche che hanno un elevato contenuto di istidina nelle carni possono essere fonte di intossicazione. I batteri responsabili della formazione della sgrombrotossina possono essere Morganella morgani, Proteus vulgaris, E. coli, E. aerogenes, Klebsiella oxytoca, Hafnia alvei, Serratia fonticola, Vibrio algynoliticus, Aeromonas spp. Questi batteri convertono l’istidina in istamina. Il tasso di conversione da istidina ad istamina non è identico per tutte le specie batteriche e dipende, oltre che dalla tipologia della popolazione batterica, dalle condizioni di conservazione dei prodotti ittici (temperatura,
umidità, pressione parziale dell’ossigeno).
A dispetto del nome il maggior numero dei casi dovuto a Sgombrotossina riguardano pesci non appartenenti a questa famiglia.
In proposito i vettori più importanti sono: amberjack (Sercola spp. un carangide segnalato anche per avvelenamenti da Ciguatera), lampuga o mahi matri (Coryphaena hyppurus, un corifenice anch’esso segnalato per avvelenamento da Ciguatera), l’acciuga (Engraules ringens), la sardina Sasrdina pilichardus), il pesce serra o blue fisch (Pomatus saltatrix), il salmone australiano (Arripis truthacea).
Tra gli Sgombriformi si segnalano la palamita o bonito (Sarda sarda), l’alalunga (Thunnus alalunga), il cobia (Rachycentrom canadium), lo scombro (Scomber scombrus), lo scombro giapponese (Scomber japonicus), il wahoo (Acanthocybium solandri).
I sintomi dell’avvelenamento si manifestano presto da meno di 10 minuti a 3-4 ore, anche se in soggetti che fanno uso di antidepressivi inibitori delle monoamminossidasi o in coloro che assumono elevate quantità di alcol, i tempi possono essere più ridotti e i sintomi più rilevanti. Tra i più comuni gli arrossamenti cutanei, soprattutto al volto e al collo. Frequenti anche nausea e vomito, diarrea a crampi addominali. La tossicità dipende da numerosi fattori. Se le condizioni di conservazione del prodotto ittico sono inidonee, si formano anche altre ammine secondarie come la cadaverina (che deriva dall’ornitina) e la putrescina (che deriva dalla lisina), che sembra abbiano un ruolo importante nella sindrome da sgombrotossina. Entrambe non risultano tossiche come tali, ma indirettamente potenziano il metabolismo dell’istamina attraverso l’azione degli enzimi DAO (diaminossidasi) e HMT (N-metiltransferasi), cioè inibiscono la degradazione dell’istamina da parte di questi enzimi.
La biotrasformazione dell’istamina avviene nel tratto gastrointestinale, dove attraverso la sua trasformazione ad opera di alcuni enzimi viene trasformata in glutammato e chetoglucarato, molecole che entrano poi nel ciclo dell’acido citrico.
Non sono noti nei dettagli i meccanismi che si instaurano nell’organismo dopo l’ingestione della sgombrotossina e gli studi hanno evidenziato che l’istamina ingerita per via orale (durante alcuni esperimenti su volontari umani), è molto meno tossica di quella ingerita con il cibo contaminato. Ci sono tre recettori ai quali si lega l’istamina e sono denominati H1, H2 e H3 e ognuno media effetti diversi. Oltre ai sintomi prima citati, il recettore H1 media potenti effetti aritmogeni, mentre l’H2 incrementa l’automatismo ventricolare e sinusale. Di fatto, l’esatta miscela che costituisce la tossina nota come sgombrotossina non è ancora nota e occorre capire come mai si ha un notevole aumento dell’istamina assorbita e come mai si riducono le capacità di detossificazione dell’organismo. Probabilmente sono coinvolte altre ammine biogene o altre molecole da identificare perché la stessa istamina e le attività di putrescina, di spermi dina e della tiramina non sono associabili ai sintomi che si manifestano dopo l’ingestione di prodotti ittici contaminati (www.biologiamarina.eu/sgombrotossina.html).

Solfiti 

Dosi ammesse
E 220 Anidride solforosa Pesci delle specie gadidi salati essiccati 200 mg SO2/l
E 221 Solfito di sodio
E 222 Sodio bisolfito Crostacei e cefalopodi freschi, congelati e surgelati
150 mg SO2/l (nelle parti commestibili)
E 223 Metabisolfico di sodio
E 224 Metabisolfito di potassio Crostacei, famiglia dei peneidi, solenceridi e astisteidi
- fino a 80 unità: 150 mg SO2/l (p. comm.)
- tra 80 e 120 unità: 200 mg SO2/l (p. comm.)
– + di 120 unità: 300 mg SO2/l
(p. comm.)
E 226 Solfito di calcio
E 227 Calcio bisolfito Crostacei e cefalopodi cotti 50 mg SO2/l (nelle parti commestibili)
E 228 Potassio solfito acido
E 284 acido borico
E 285 Tetraborato di sodio (borace)
Uova di storione (caviale) 4 g S3BO3/kg

Gli effetti sulla salute

Tossico per inalazione, corrosivo e irritante per le vie respiratorie e il tubo digerente, può provocare alterazioni nel metabolismo di alcuni amminoacidi e della vitamina B1. In particolare il principale effetto negativo dell’anidride solforosa, in individui non affetti da ipersensibilità, è connessa all’azione degradativa a carico della vitamina B1 (tiamina), la cui carenza nell’uomo può provocare significative alterazioni a carico del metabolismo degli zuccheri (diabete).
Già nel 1973 sono state evidenziate reazioni allergiche ai solfiti; esse si manifestano per assunzioni di dosi molto basse (dell’ordine del milligrammo) e riguardano principalmente i soggetti asmatici (dal 4 al 10% degli individui (Ribereau-Gayon).
“Nei soggetti sensibili ai solfiti si possono scatenare asma, difficoltà respiratoria, fiato corto, respiro affannoso e tosse.
Tali soggetti devono limitarne il più possibile l’ingestione perché le conseguenze di una ingestione eccessiva possono essere particolarmente gravi e in alcuni casi fatali. Da qui le varie organizzazioni di controllo in testa la FDA (Food and Drugs Amministration – USA) hanno stabilito che gli alimenti (tra cui il vino) aventi un contenuto di solfiti superiore alla soglia di 10 mg/kg o litro devono riportarne il superamento in etichetta” (Antonio Posocco).
L’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) ha stabilito, dopo accurati studi, la DGA (Dose Giornaliera Ammissibile) a 0,7 mg di SO2 giornalieri per kg di peso corporeo.
“Tenuto conto della DGA la dose accettabile per l’uomo è compresa tra 42 e 56 mg per giorno in funzione del peso corporeo, compreso tra 60 e 80 kg. Attraverso il consumo di mezza bottiglia al giorno (375 ml) sarebbe possibile assumere una superiore quantità di SO2. Se il tenore di SO2 totale è al livello massimo autorizzato dalla UE, 160 mg/l per i vini rossi e 210 mg/l per i vini bianchi, la quantità di SO2 assunta con metà bottiglia è pari a 60 mg per i primi e 79 mg per i secondi” (Ribereau-Gayon). Per quanto riguarda alcuni vini speciali, passiti o botritizzati (che possono contenere fino a 400 mg/l) la dose assunta con mezza bottiglia è addirittura di 150 mg di solforosa (pari a 2,5 mg/kg per una persona di 60 kg e 1,87 mg/kg per una persona di 80 kg).
“La conversione dei solfiti in solfati avviene durante il passaggio attraverso l’apparato digerente. Nello stomaco dove il pH (la forza acida) è molto basso in fase di digestione, l’ossidazione è molto lenta, mentre risulta assai più rapida nell’intestino e nel sangue (pH sub alcalino). L’irritazione gastrica dipende dal fatto che i solfiti, a reazione decisamente acida, liberano anidride solforosa, che provoca una sensazione dolorosa accompagnata a vomito se la dose di anidride solforosa supera i 3,5 mg/kg di peso (avvelenamento acuto). La trasformazione dei solfiti in solfati avviene grazie all’intermediazione di una emoproteina (solfito-ossidasi) che contiene molibdeno, abbondante soprattutto nel fegato e nei reni. La sensazione del famoso cerchio alla testa che si può verificare dopo ingestione di una dose significativa di anidride solforosa sembrerebbe proprio legata all’azione di questa emoproteina che impiegando sia pure in quantità limitate l’ossigeno nella formazione di solfati, delimiterebbe l’afflusso al cervello, che reagisce con la nota sintomatologia
dolorosa” (Antonio Posocco).

Metalli pesanti

3.2 Cadmio
3.2.1 Carni (escluse le frattaglie) di bovini, ovini, suini e pollame 0,050
3.2.2 Carne di cavallo, escluse le frattaglie 0,20
3.2.3 Fegato di bovini, ovini, suini, pollame e cavallo 0,50
3.2.4 Rene di bovini, ovini, suini, pollame e cavallo 1,0
3.2.5 Muscolo di pesce, escluse le specie elencate ai punti 3.2.6 e 3.2.7 0,050
3.2.6 Muscolo dei seguenti pesci:
acciuga (Engraulis species)
palamita (Sarda sarda)
sarago fasciato comune (Diplodus vulgaris)
anguilla (Anguilla anguilla)
cefalo (Mugil labrosus labrosus)
suro o sugarello (Trachurus species)
luvaro o pesce imperatore (Luvarus imperialis)
sardina (Sardina pilchardus)
sardine del genere Sardinops (Sardinops species)
tonno e tonnetto (Thunnus species, Euthynnus species, Katsuwonus pelamis)
sogliola cuneata (Dicologoglossa cuneata)
0,10
3.2.7 Muscolo di pesce spada (Xiphias gladius)) 0,30
3.2.8 Crostacei, ad eccezione delle carni scure del granchio, della testa e del torace dell’aragosta e di grossi
crostanei analoghi (Nephropidae e Palinuridae)
0,50
3.2.9 Molluschi bivalvi 1,0
3.2.10 Cefalopodi (senza visceri) 1.0
3.3 Mercurio
3.3.1 Prodotti della pesca e muscolo di pesce, escluse le specie elencate al punto 3.3.2. Il tenore massimo si
applica ai crostacei, escluse le carni scure del granchio e quelle della testa e del torace dell’aragosta e
di grossi crostacei analoghi (Nephropidae e Palinuridae)
0,50
3.3.2 Muscolo dei seguenti pesci:
rana pescatrice (Lophius species)
pesce lupo (Anarhichas lupus)
palamita (Sarda sarda)
anguilla (Anguilla species)
pesce specchio (Hoplostethus species)
pesce topo (Coryphaenoides rupestris)
ippoglosso (Hippoglossus hippoglossus)
marlin (Nakaira species)
rombo del genere Lepidorhombus (Lepidorhombus species)
triglia (Mullus species)
luccio (Esox lucius)
palamica bianca (Orcynopsis unicolor)
cappellano (Trisopterus minutus)
squalo portoghese (Centroscymnus coelolepis)
razze (Raja species)
scorfano del genere Sebastes (Sebastes marinus, S. mentella, S. viviparus)
pesce vela del Pacifico (Istiophorus platypterus)
pesce sciabola (Lepidopus caudatus, Aphanopus carbo)
pagello (Pagellus species)
squali (tutte le specie)
tirsite (Lepidocybium flavobrunneum, Ruvertus pretiosus, Gempylus serpens)
storione (Acipenser species)
1,0

pesce spada (Xiphias gladius)
tonno e tonnetto (Thunnus species, Euthynnus species, Katsuwonus pelamis)

Cadmio

Il cadmio (Cd) è un metallo pesante che contamina l’ambiente sia per cause naturali sia in conseguenza di processi industriali e agricoli. Per la popolazione generale, ad eccezione dei fumatori, la fonte principale di esposizione a cadmio è rappresentata dagli alimenti. Sebbene nell’uomo l’assorbimento di cadmio in seguito ad esposizione alimentare sia relativamente basso (3-5%), nell’organismo umano il cadmio si accumula in modo efficiente nel rene e nel fegato, ed ha un tempo di emivita che varia da 10 a 30 anni. Il cadmio è principalmente tossico per il rene, specialmente per le cellule del tubulo prossimale, ove progressivamente si accumula portando eventualmente ad alterazioni della funzionalità renale.
Il cadmio può inoltre causare demineralizzazione ossea, agendo sia direttamente sull’osso, sia indirettamente, quale effetto secondario alla disfunzione renale. In seguito ad esposizione prolungata e/o elevata il danno renale può progredire alla compromissione della filtrazione glomerulare, e successivamente all’insufficienza renale. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato il cadmio come cancerogeno per l’uomo (gruppo I) sulla base di studi occupazionali. Dati epidemiologici più recenti riferiti alla popolazione generale hanno evidenziato un’associazione statisticamente significativa tra esposizione e cadmio e aumento del rischio di cancro, ad esempio, del polmone, dell’endometrio, della vescica e della mammella.
La biodisponibilità, la ritenzione e la conseguente tossicità del cadmio sono influenzate da diversi fattori, come lo stato nutrizionale (ridotte riserve di ferro nell’organismo), le gravidanze multiple, le condizioni di salute o le malattie pregresse.
Il Comitato congiunto di esperti FAO/OMS sugli additivi alimentari (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives – JECFA) ha stabilito in passato un valore limite di assunzione settimanale pari a 7 .g/kg di peso corporeo (dose settimanale tollerabile provvisoria – Provisional Tolerable Weekly Intake – PTWI) al di sotto del quale non sussistono rischi per la salute umana. Tale limite è stato approvato anche dal Comitato Scientifico sull’alimentazione (Scientific Committee for Food – SCF). Sebbene i dati disponibili indichino che la maggior parte degli individui assume attraverso la dieta livelli di cadmio inferiori al PTWI, diversi organismi internazionali hanno tuttavia riconosciuto che nella popolazione generale sussiste un margine minimo tra il PTWI e l’effettiva assunzione settimanale di cadmio, e che in alcune fasce della popolazione tale margine è pressoché inesistente.
Studi eseguiti in proposito hanno portato la dose settimanale tollerante (TWI) a 2,5 .g/kg di peso corporeo.

Il metilmercurio

Il metilmercurio (o mercurio metilato, o mercurio organico) ambientale proviene in gran parte dalla metilazione del mercurio inorganico da parte di batteri presenti nei sedimenti del fondo marino e lacustre. La contaminazione degli ecosistemi acquatici dipende dall’accumulo e dal rilascio di mercurio dal suolo e dalla deposizione diretta, mentre tra tutti i fattori influenzanti la metilazione vi sono: l’ossigeno disciolto (OD), la presenza di batteri solfato riduttori e il pH.
A sua volta, le principali fonti di mercurio inorganico sono costituite dalle emissioni naturali (es. emissioni vulcaniche, evaporazione dalle sorgenti d’acqua), sebbene il mercurio depositato tramite l’atmosfera nei diversi comparti ambientali sia anche di origine antropica (estrazione dalle miniere, combustione di carburante fossile, produzione di cemento, residui di procedure di incenerimento). Il mercurio è emesso nell’ambiente come vapore nello stato elementare (Hg0) che in seguito è convertito nella forma solubile (Hg2+). Il Hg2+, depositato al suolo dalla pioggia, può essere ridotto a Hg0 e tornare nell’atmosfera come vapore, oppure accumularsi nei sedimenti oceanici sottoforma di solfuro (HgS).

Livelli ambientali ed esposizione umana 

L’aria e l’acqua, in funzione del livello di contaminazione, possono contribuire significativamente all’assorbimento giornaliero umano di mercurio, sia organico che inorganico, sebbene sia ormai riconosciuto che l’ingestione di pesci e prodotti ittici costituisca la fonte principale di esposizione per la popolazione generale. Infatti, è stato riscontrato che il livello di mercurio nel pesce, anche per individui che ne consumano abitualmente piccole quantità (media di 10-20 g di pesce/giorno), può significativamente influenzare l’assunzione totale di mercurio da parte dell’uomo. Il metilmercurio è liposolubile e bioaccumula facilmente negli organismi in quanto viene eliminato molto lentamente. Quindi, seguendo il criterio della concentrazione lungo la catena alimentare, il livello di metilmercurio negli organismi viventi aumenta dai molluschi, crostacei etc., ai pesci di piccola taglia fino ai predatori come pesce spada, squalo e merluzzo. Livelli maggiori
di 1200 mg/kg sono stati trovati nella parte edibile di pesci predatori. La contaminazione da mercurio dipende ovviamente anche dall’habitat (il pesce oceanico ha minore probabilità di contaminazione rispetto al pesce di lago che vive in un bacino chiuso).
È stato stimato che l’essere umano ha un’assunzione media giornaliera di circa 2,4 mg di metilmercurio ed un assorbimento di circa 2,3 mg. È riportato che il consumo di 200 g di pesce contenente 500 mg/kg di metilmercurio porta ad una assunzione di 100 mg di mercurio totale, di cui la frazione principale è costituita da metilmercurio. Questa quantità corrisponde alla metà della dose tollerabile di assunzione settimanale (200 mg) raccomandata per il metilmercurio dall’OMS.


Effetti tossici sull’essere umano

In seguito ad ingestione, il metilmercurio è molto più tossico rispetto al mercurio inorganico. Il livello di mercurio è generalmente misurato in sangue e capelli. Gli effetti e le relazioni dose-risposta del metilmercurio per esposizione prenatale o neonatale differiscono sia quali- che quantitativamente dagli effetti osservati negli adulti. Negli adulti, la relazione dose-risposta è essenzialmente la stessa riportata per il mercurio inorganico (Environmental Health Criteria 1, OMS,1976).
Il metilmercurio nella dieta umana va quasi totalmente in circolo ed è distribuito in tutti i tessuti nel tempo di 4 giorni.
Le concentrazioni massime nel cervello sono raggiunte dopo 5-6 giorni. Nell’essere umano, il rapporto fra il livello nel sangue e nei capelli è circa 1:250, con significative variazioni individuali.


Effetti sul sistema nervoso

L’inibizione della sintesi delle proteine è uno dei primi rilevabili effetti biochimici nel cervello adulto, attraverso una sequenza di eventi ancora non chiara. Il metilmercurio può anche reagire direttamente con importanti recettori nel SNC,
come evidenziato dall’effetto sui recettori dell’acetilcolina nel sistema periferico. Le donne in gravidanza possono riportare effetti nocivi a livelli di esposizione minori rispetto agli altri adulti.
Il metilmercurio è un inquinante particolarmente tossico per il sistema nervoso in via di sviluppo. L’evidenza clinica ed epidemiologica indica la maggiore suscettibilità della vita prenatale e neonatale verso gli effetti tossici del metilmercurio rispetto alla vita adulta, sebbene sia difficile risalire alla relazione dose-risposta per questi effetti. L’esposizione prenatale a metilmercurio può provocare gravi squilibri durante gli stadi critici dello sviluppo neuronale del Sistema Nervoso Centrale (SNC), portando ad alterazione della normale struttura cerebrale e deficit cognitivi (spesso questi danni portano a cecità, sordità, afasia, anormalità del tono muscolare, ritardo psicomotorio o aborto spontaneo).
L’evidenza della correlazione con il ritardo nello sviluppo psicomotorio riscontrato in neonati e bambini è stata evidenziata da elevati livelli di mercurio nei capelli e nel sangue della madre durante la gravidanza. L’esposizione in gravidanza, anche a dosi non teratogene, può indurre rilevanti deficit neuro funzionali nella prole.

Altri effetti

La corretta valutazione del rischio di altri effetti nocivi per la salute umana necessita del supporto di ulteriori dati scientifici, come ad esempio nel caso del rischio di malattie cardiovascolari e tumori riportato da alcuni studi epidemiologici condotti su popolazioni con maggiore consumo di pesce potenzialmente contaminato.

Casi di tossicità cronica da metilmercurio 

Oltre ai diversi casi di neurotossicità associata in maniera diretta al consumo di pesce, fra i casi di avvelenamento da metilmercurio si ricordano la contaminazione di grano in Iraq (1956-1960) e la Sindrome di Minamata (1952), quando fra la popolazione della omonima baia (in Giappone) si registrarono i primi casi di avvelenamento da mercurio correlato al consumo di pesce inquinato in seguito al rilascio dai reflui degli impianti chimici di Chisso (1932).

Riferimenti bibliografici

International Programme on Chemical Safety. Environmental Health Criteria No. 101, Methylmercury. World Health
Organization: Geneva, 1990.

Antibiotici 

I valori massimi tollerabili delle sostanze farmacologicamente attive in carni di varie specie animale compreso i pesci sono elencati nel Reg. CEE n. 73 del 2010.
Le prime attenzioni sanitarie verso il problema rappresentato dalla loro presenza negli alimenti furono dovute soprattutto al timore di reazioni allergiche in individui precedentemente sensibilizzati con antibiotici betalattanici (Penicillina G, aminopenicilline, ecc.). Altre preoccupazioni dalla dimostrazione della tossicità selettiva del cloramfenicolo per il midollo osseo. Al giorno d’oggi i maggiori timori destati dall’impiego di antimicrobici nelle produzioni zootecniche vengono dalla possibilità che questo impiego, soprattutto se effettuato a dosaggi sub terapeutici, determini una pressione selettiva in grado di selezionare ceppi di batteri antibiotico-resistenti non patogeni per gli animali, ma potenziali agenti di episodi tossinfettivi nell’uomo. Tale ipotesi fino ad oggi non si è verificata.
Dalle autorità sanitarie sono stati posti limiti di concentrazioni massime tollerabili denominate LMR. I LMR per ogni molecola vengono fissati a partire dalla Dose giornaliera (DGA). La DGA è una stima della quantità di un farmaco espressa in rapporto alla massa corporea che può essere assunta da un individuo per tutta la vita senza subire significativi rischi tossicologici. Per fissare la DGA di una molecola si determina la minima concentrazione che può causare effetto tossicologico nella specie animale di laboratorio più sensibile e si moltiplica poi tale concentrazione per un fattore di sicurezza (solitamente 100 o 1000). Nota la DGA, ai limiti massimi di residui si calcolano conoscendo i consumi medi dei vari alimenti di origine animale (vedi ???).

Cloramfenicolo


L’azione tossica del cloramfenicolo si verifica solo durante i trattamenti farmacologici con l’impiego di dosi orali di 2/3 g/die (adulti) e parenterale di 50 mg/kg nel bambino di età superiore a 2 mesi di vita e in 4 somministrazioni giornaliere.
Si dimezza la dose, 10-25 mg/kg/die, in 1-2 somministrazioni giornaliere. In particolare situazioni può determinare gravi manifestazioni iatrogeni che: sindrome grigia in età neonatale ed aplasia midollare.
Sono descritte due diverse forme di depressione midollare: una reversibile collegata alla dose somministrata ad interferenza con il metabolismo del ferro ed una irreversibile.
La forma reversibile è più frequente ad alte dosi con trattamento prolungato ed in pazienti con disfunzione epatica. La sideremia aumenta insieme con la capacità del siero di legare il ferro, diminuiscono i reticolociti, i precursori cellulari dei globuli rossi vacuolizzato e si sviluppano anemia, leucopenia e trombocitopenia.
Le forme idiosincrasia irreversibile sono rare. Neuriti ottiche e periferiche possono svilupparsi per prolungati trattamenti.
La “sindrome grigia Neonatale”, spesso fatale si sviluppa, in neonati. È dovuta agli elevati livelli sierici di CAF legata ad incapacità epatica di metabolizzare il farmaco.

Cocciciostatici

Nicarbaziona: le caratteristiche
• Priva di tossicità acuta e cronica anche a dosaggi molto elevati (animali e uomo).
• È stata inserita nel Piano Nazionale sui Residui nelle tabelle 6 (volatili da cortile), 8 (conigli e selvaggina allevata), 10 (uova).
• Da ricercare limitatamente al solo muscolo dove il residuo deve essere 0.
• Il limite di sensibilità del metodo di analisi ufficiale è pari a 5 ppb.
Le Raccomandazioni JECFA (1998)

La Commissione Codex Alimentarius del JECFA (Joint FAO/WHO Experte Committee on Food Additives) ha stabilito nel settembre ’98 i seguenti MRL per la nicarbaziona:

Specie Tessuto MRL* (.g/kg)
Pollo Muscolo 200
Fegato 200
Rene 200
Pelle/grasso 200

* Valori calcolati sulla base di un ADI pari a 0-400 .g/kg di peso corporeo.
Limiti (Reg. n. 124/2009)
Alimenti di origine animale ottenuti da specie di polli diversi dai polli di ingrasso.

.g/kg (ppb) di peso fresco
- uova 100
- latte 5
- fegato e reni 100
- altri prodotti alimentari 25

Idrocarburi policiclici aromatici 

Prodotti alimentari Tenori massimi
(.g/kg di peso fresco)
6.1 Benzo(a)pirene
6.1.1 Oli e grassi (escluso il burro di cacao) destinati al consumo umano diretto o
all’impiego quali ingredienti di prodotti alimentari
2,0
6.1.2 Carni affumicate e prodotti a base di carni affumicate 5,0
6.1.3 Muscolo di pesce affumicato e prodotti della pesca affumicati, esclusi i molluschi
bivalvi. Il tenore massimo si applica ai crostacei affumicati, escluse le carni scure
del granchio e quelle della testa e del torace dell’aragosta e di grossi crostacei analoghi
(Nephropidae e Palinuridae)
5,0
6.1.4 Muscolo di pesce non affumicato 2,0
6.1.5 Crostacei e cefalopodi non affumicati. Il tenore massimo si applica ai crostacei,
escluse le carni scure del granchio e quelle della testa e del torace dell’aragosta e
di grossi crostacei analoghi (Nephropidae e Palinuridae)
5,0
6.1.6 Molluschi bivalvi 10,0
6.1.7 Alimenti a base di cereali e altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini 1,0
6.1.8 Alimenti per lattanti e alimenti di proseguimento, compresi il latte per lattanti e il latte di proseguimento
1,0
6.1.9 Alimenti dietetici a fini medici speciali destinati specificatamente ai lattanti 1,0
Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) costituiscono una vasta classe di composti organici contenenti due o più anelli aromatici. Essi si formano principalmente nella combustione o pirolisi incompleta di materia organica e nel corso di vari processi industriali. In genere gli IPA sono presenti in miscele complesse che possono comprendere centinaia di composti. Le fonti di esposizione dell’uomo agli IPA sono molteplici. Mentre per i non fumatori la via di esposizione principale è costituita dal consumo di alimenti, per i fumatori può risultare significativa l’assunzione dovuta al fumo.
Negli alimenti la contaminazione può derivare da fonti ambientali, da lavorazioni industriali e da alcune pratiche di cottura casalinga.
Sono considerati cancerogeni: 1) il benzoantracene; 2) il benzofenantrene; 3) il benzopirene; 4) il dibenzoantracene; 5) il 9,10-dimetilantracene; 6) il 1,4-dimetilfenantrene; 7) il 7,12-dimetilbenzoantracene; 8) il 3-metilcolantrene.

Diossine e PCB 

Prodotti alimentari Tenori massimi
Somma di diossine
(OMS-PCDD/FTEQ)
Somma di diossine e
PCB diossina-simil
(OMS-PCDD/FPCB-TEQ)
5.1 Carni e prodotti a base di carne (escluse le frattaglie commestibili dei seguenti animali:
- bovini e ovini
- pollame
- suini
3,0 pg/g grasso
2,0 pg/g grasso
1,0 pg/g grasso
4,5 pg/g grasso
4,0 pg/g grasso
1,5 pg/g grasso
5.2 Fegato degli animali terrestri di cui al punto 5.1 e relativi prodotti derivati
6,0 pg/g grasso 12,0 pg/g grasso
5.3 Muscolo di pesce e prodotti della pesca e loro derivati, esclusa l’anguilla. Il tenore massimo si applica ai crostacei, escluse le carni scure del granchio e quelle della testa e del torace dell’aragosta e di grossi crostacei analoghi (Nephropidae e Palinuridae)
4,0 pg/g peso fresco 8,0 pg/g peso fresco
5.4 Muscolo di anguilla (Anguilla anguilla) e prodotti derivati 5,9 pg/g peso fresco 12,0 pg/g pesco fresco
5.5 Latte crudo e prodotti lattiero-caseari, compreso il grasso del burro
3,0 pg/g grasso 6,0 pg/g grasso
5.6 Uova di gallina e ovo prodotti 3,0 pg/g grasso 6,0 pg/g grasso
5.7 Grasso dei seguenti animali:
- bovini e ovini
- pollame
- suini
3,0 pg/g grasso
2,0 pg/g grasso
1,0 pg/g grasso
4,5 pg/g grasso
4,0 pg/g grasso
1,5 pg/g grasso
5.8 Miscele di grassi animali 2,0 pg/g grasso 3,0 pg/g grasso
5,9 Oli e grassi vegetali 0,75 pg/g grasso 1,5 pg/g grasso
5.10 Oli di organismi marini (olio estratto dal corpo del pesce, dal suo fegato e oli di altri organismi marini destinati al consumo umano)
2,0 pg/g grasso 10,0 pg/g grasso

Le diossine clorurate (PCDD e PCDF) sono sottoprodotti nei processi di combustione e nell’industria chimica del cloro. La tossicità delle diossine dipende dal numero e dalla posizione degli atomi di cloro sull’anello aromatico, gli isomeri che hanno il cloro nella posizione 2,3,7,8 sono quelli più tossici e dotati della maggiore capacità di accumulo. Nella terminologia corrente il termine diossina è usato come sinonimo della 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-p-diossina (TCDD), ossia del congenere tossico (unico riconosciuto possibile cancerogeno per l’uomo) che ha 4 atomi di cloro (Needhom e coll., 1991).
Le diossine sono sostanze semivolatili, termostabili, insolubili in acqua, altamente liposolubili, estremamente resistenti alla degradazione chimica e biologica.
Nel suolo si legano alla frazione organica presente ove rimangono relativamente immobili, per la loro insolubilità. In conseguenza della loro presenza diffusa nell’ambiente, persistenza e liposolubilità, le diossine tendono ad accumularsi nei tessuti ed organi degli esseri umani e degli animali. Il meccanismo di tossicità nei tessuti animali risulta mediato dal recettore cellula AHR, costituito da una proteina solubile intracellulare in grado di legarsi con numerose sostanze aromatiche. La presenza del complesso AHR in differenti specie e tessuti, insieme a capacità di agire come transattiva tore legante-dipendente dall’espressione genica, suggerisce che molti degli effetti tossici e biologici delle diossine risultano da accettazioni differenziali dell’espressione genica delle cellule suscettibili (APAT, 2005).
Generalmente le diossine non sono rilevate nelle diverse matrici come singoli composti, ma come miscele complesse dei diversi congeneri. Per riuscire ad esprimere la tossicità dei singoli congeneri, è stato introdotto il concetto di fattore di tossicità equivalente o TEF. I TEF si basano sulla considerazione che i PCDD e i PCDF sono composti strutturalmente simili che presentano il medesimo meccanismo strutturale di azione e producono gli stessi effetti tossici.
I TEF sono calcolati confrontando l’affinità di legami dei vari composti organoclorurati con il recettore Ah, rispetto a quella delle 2,3,7,8 TCDD, considerando l’affinità di questa molecola come il valore unitario di riferimento.
Per esprimere la concentrazione complessiva di diossine nelle diverse matrici si è introdotto il concetto di tossicità equivalente (TEQ) che si ottiene sommando i prodotti tra i valori TEF dei singoli congeneri e le rispettive concentrazioni, espresse con l’unità di misura della matrice in cui sono state riscontrate.

Rischi per la salute associati all’esposizione a POPs 

Diossine e composti diossino-simili 

SCF WHO, 2001

TDI = 2 pg TEQ/kg BW-day

Effetti sugli organi riproduttivi nella prole maschile esposta in fase prenatale.
Esposizione media popolazione generale in Italia a composti diossino-simili:
2,3 pg TEQ/kg BW-day

Superamento della dose tollerabile 

Policlorurobifeili (PCB)

I PCB sono sostanze chimiche prodotte tramite processi industriali sono ricavati a partire dal petrolio e dal catrame, daiquali estrae il benzene, che è successivamente trasformato in bifenile; ed infine clorurato a policlorobifenile.
I policlorobifenili (PCB) o PCB (PCB diossina simili) sono una serie di composti aromatici biciclici, costituiti da molecole di bifenile variamente clorurate.
I PCB sono caratterizzati da bassa solubilità in acqua e solo lipofili. Sono molto stabili e sono presenti in rifiuti, nei concimi costituiti d fanghi di scarico, dalle combustioni, in sedimenti fluviali, lacustri e marini.
La tossicità dei PCB saggiata in animali da laboratorio o nell’essere umano esposto accidentalmente in modo acuto si manifesta con disordini cutanei, perdita di peso, danni epatici, disfunzioni endocrine e riproduttive.


PCB diossino-simili e non diossino-simili 

I PCB possono essere suddivisi in due gruppi: i PCB diossino-simili (DL-PCB) e i PCB non diossino-simili (NDL-PCB).
Le diossine clorurate e i PCB diossino-simili comprendono i seguenti gruppi di congeneri:
- Policlorobenzo-p-diossine (77 congeneri);
- Policlorodibenzofurani (135 congeneri);
- Policlorobifenili (209 congeneri).
I PCB non diossino-simili comprendono oltre 100 congeneri.
Per questi PCB-NDL non è stata derivata una TDI per mancanza di una data base adeguata.
Il margine di esposizione è di
MOE = NOEL/esposizione umana
cioè
MOE = 10 (500/50) ng/kg p.c

Contaminanti organici persistenti 

Si comprendono:
Ritardanti di fiamma bromurati
BFR

XPBDE
XPBB
PFC
XPFOS
XPFOA
Ritardanti di fiamma


PoliBromoBifenili (PBB) e PoliBromoDifenilEteri (PBDE) 

I PBB e PBDE sono classi di sostanze organiche polibromurate impiegate come ritardanti di fiamma nei materiali polimerici.
Come struttura e caratteristiche risultano essere molto simili a diossine e PCB, con le quali hanno in comune anche la pericolosità in concentrazioni estremamente basse e la stabilità chimica. Effetto di questa stabilità è il potere di bioaccumulo nella catena alimentare, che può portare a concentrazioni estremamente elevate di queste sostanze negli alimenti ad uso umano. Lo studio di questi composti è cominciato relativamente tardi e, a partire dagli anni ’90 sono stati individuati nei tessuti adiposi di popolazioni del Nord Europa. Successivi studi hanno dimostrato la presenza di composti organici bromurati in latte materno con concentrazioni soggette ad aumento quasi esponenziale nel corso degli anni.
È dimostrato che PBB e PBDE aumentano i rischi di insorgenza di cancro e provocano disturbi nell’attività riproduttiva e mostrano il loro effetto tossico su fegato e tiroide; a ciò si aggiungono problematiche relative allo sviluppo neuronale.
Gli effetti nocivi dei PBDE sono 300 .g PBDE – 99/kg p.c . riduzione T4 nella prole e concentrazione nell’organismo animale di 1,9 .g/g nel grasso. L’esposizione umana è di 0,07-1,3 .g/g grasso.
Le polibromodibenzo-p-diossine hanno 77 congeneri, i polibromodibenzofurini hanno 135 congeneri e i polibromodifenili 209 congeneri.

Composti organici fosforati (PFC, PFOS, PFOA) 

Sono sostanze surfettanti preparsate per tessuti, tappeti, contenitori di alimenti, pentole (teflon), schiume antincendio e in prodotti per la pulizia.
Sono composti organici perfluorati la cui catena carboniosa è completamente fluorurata: tutti gli atomi di idrogeno sono quindi sostituiti da atomi di Fluoro.
Sono composti resistenti ai processi di biodegradazione quindi anch’essi, come i composti precedenti sono altamente persistenti nell’ambiente. Sono stati ritrovati nelle carni di pesci, molluschi, uccelli e mammiferi in varie zone geografiche.
Sono stati ritrovati nel siero ematico di lavoratori addetti alla loro produzione e nella popolazione di non addetti.
L’emivita dei PFOS nell’uomo è stata stimata in 9 anni. Dati epidemiologici hanno sottolineato un’associazione tra l’esposizione ai PFOS e l’incidenza al cancro della vescica nell’essere umano (Gassotti e coll.).


I dati tossicologici sono i seguenti:
PFOS:
TDI = 150 ng/kg BW-day (alterazione dei lipidi e ormoni tiroidei)
Esposizione popolazione generale: 60 ng/kg BW < TDI
PFOA:
TDI = 1,5 .g/kg BW-day (tossicità epatica)
Esposizione popolazione generale: 2-6 ng/kg BW < TDI


Stime di assunzione di POPs attraverso l’alimentazione per la popolazione generale

Estimated Dietary Daily Intake
PCDD e PCDF 0,96 pg TEQ/kg BW-giorno
DL-PCB 1,30 pg TEQ/kg BW-giorno
NDL-PCB .6PCB 12 ng/kg BW-giorno
PBDE 0,50-0,74 ng/kg BW-giorno
PFOS* 0,6-4,4 ng/kg BW-giorno
30-200 ng/kg BW-giorno
60 ng/kg BW-giorno (EFSA, 2008)
PFOA* 1,1-11,6 ng/kg BW-giorno
3-100 ng/kg BW-giorno
2 ng/kg BW-giorno (EFSA, 2008)

* pochi studi con variabilità notevole

Contaminanti nel pesce: una valutazione dei rischi 


Parallelamente all’aumento della consapevolezza dei consumatori sui problemi di alimentazione e salute. Il pesce sta acquisendo una crescente popolarità come sana alternativa alimentare. Recentemente la fiducia del consumatore è stata minata da un rapporto che evidenziava i rischi associati all’esposizione, attraverso l’alimentazione, a contaminanti ambientali come il mercurio e le diossine, che si accumulano nel pesce. Tuttavia i dati disponibili e l’interpretazione delle autorità competenti indicano che il livello di contaminanti nel pesce è ancora inferiore alla soglia critica.

Presenza di contaminanti ambientali in campioni di sangue umano di 13 famiglie Europee

A partire dal 2003, il WWF, nell’ambito della campagna internazionale DETOX, ha portato avanti numerose indagini che dimostrano come alcune sostanze chimiche artificiali siano presenti nel sangue di ognuno di noi.
Queste ricerche hanno avuto lo scopo di sottolineare all’opinione pubblica il problema relativo alla diffusa contaminazione dell’uomo da parte di agenti chimici e di stimolare la discussione sulla necessità di approvare e migliorare la normativa REACH, con la quale si intende tutelare maggiormente le persone e l’ambiente dagli effetti nocivi delle sostanze chimiche artificiali.
Il WWF ha ricercato più di 320 inquinanti chimici nel sangue di diverse persone: Membri del Parlamento Europeo, Ministri dell’Unione Europea, rappresentanti del mondo scientifico, celebrità, alcuni deputati e senatori italiani, nonché testimonial di popolari trasmissioni della RAI.
In tutti i casi, le indagini, pur non avendo pretese epidemiologiche ma condotte con assoluto rigore, hanno mostrato come le persone siano contaminate da un cocktail di agenti chimici artificiali persistenti, bioaccumulabili e tossici.
Nel corso della primavera 2005, con il supporto dell’EEN e di Eurocoop, il WWF ha proseguito lo studio sulla tipologia e sul livello di contaminazione chimica coinvolgendo tre generazioni (nonna, madre e figlio/a) di 13 famiglie provenienti da: Belgio (2 famiglie), Italia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Polonia, Svezia e Lussemburgo.
I risultati ottenuti sono stati questi:

Figli più contaminati delle loro madri 

• Delle 107 sostanze chimiche ricercate, ben 73 sono state rinvenute nel sangue dei partecipanti.
Il più alto numero di contaminanti chimici è stato trovato nella generazione delle nonne (63 sostanze), seguito dalla generazione dei figli/e (59 sostanze) e, successivamente, dalla generazione delle mamme (49 sostanze). Sorprende come un numero maggiore di sostanze (ben 10 in più) sia stato trovato nella generazione dei giovani e non in quella delle mamme che, per un discorso di età, risultano esposte agli inquinanti da più tempo.
• Ciascun componente familiare è risultato contaminato da un cocktail di almeno 18 sostanze chimiche sintetiche, molte delle quali sono presenti negli oggetti di uso quotidiano. La presenza di differenti inquinanti tossici all’interno del sangue è motivo di forte preoccupazione considerando che possono interagire gli uni con gli altri ed esercitare effetti tossici addizionali e/o sinergici negli organismi viventi.
• Alcuni degli agenti chimici, tra cui il PCBs e il DDT, sebbene banditi in Europa da decenni, continuano ad essere rinvenuti nelle nuove generazioni. Questo dimostra il grado di persistenza e bioaccumulabilità di queste sostanze. Risultati di questo tipo dovrebbero far riflettere sull’urgenza di adottare una regolamentazione restrittiva in materia di sostanze chimiche che ci tuteli dai “nuovi” contaminanti.
• Con sole 2 eccezioni, gli inquinanti appartenenti ai principali gruppi di sostanze indagate sono stati rinvenuti nel sangue di tutte le persone che hanno partecipato al biomonitoraggio, inclusi i bambini di 12 anni di età.
Sostanza o gruppo di sostanze Numero di individui contaminati (su un totale di 39)
OCPs Tutti
PCBs Tutti
PBDEs 38
PFCs 37*
Muschi Tutti
* 1 campione è risultato danneggiato
• La generazione delle nonne è risultata contaminata dai “vecchi” contaminanti, ossia quelli già da tempo vietati, come i pesticidi organo clorurati e i PCBs. I “nuovi” contaminanti, tra cui i ritardanti di fiamma polibromurati, i perfluoroctani (PFC) e i muschi artificiali sono stati rinvenuti con maggiore frequenza e a più alte concentrazioni nella generazione dei giovani. I dati sulla famiglia italiana confermano il dato europeo sulla maggiore contaminazione delle ???, la figlia, infatti, presenta nel sangue la più alta concentrazione totale di questi nuovi contaminanti (la somma di tali concentrazioni rinvenute nel sangue, espresse in ng/g di sangue, risulta essere di 5,186 per quel che riguarda la figlia, contro i 4,265 della mamma e i 2,454 della nonna).
Basse dosi – Un motivo di preoccupazione


Molti degli agenti chimici analizzati sono considerati potenzialmente pericolosi. Nonostante siano molti i risultati finora prodotti sulla stima del rischio associato all’esposizione a queste sostanze, essi risultano ancora insufficienti al fine di una valutazione dei possibili impatti sulla natura e sull’uomo.

I dati attualmente a disposizione mostrano che
• Siamo esposti ad un vasto spettro di sostanze chimiche
Recenti scoperte scientifiche mostrano come molte sostanze chimiche presentino interazioni sinergiche e/o addizionali negli organismi viventi.
• I feti ed i bambini sono particolarmente sensibili alle sostanze chimiche
Per quel che riguarda, infatti, le sostanze capaci di provocare interferenza con il sistema endocrino, questi effetti negativi sono dovuti non tanto alla dose quanto al periodo di esposizione (ad esempio durante la gravidanza).
• Per molte sostanze chimiche non esistono limiti di sicurezza per escludere effetti negativi sulla salute, neanche per le fasce più a rischio della popolazione
A destare preoccupazione è, in particolare, l’esposizione prolungata nel tempo soprattutto nelle prime fasi di vita: possono infatti verificarsi effetti non prevedibili che si manifestano solo molti anni più tardi.

• Molti delle sostanze chimiche sono bioaccumulabili
I loro livelli continueranno quindi ad aumentare se non verranno quanto prima eliminate.
…Nuovi sistemi di valutazione della sicurezza chimica…

Nella vita di tutti i giorni siamo esposti a migliaia di sostanze chimiche. Alcune di esse hanno un effetto positivo sulla salute (ad esempio i principali componenti degli alimenti), ma altre sostanze (che possono essere presenti negli alimenti o nell’ambiente) possono essere causa di effetti negativi sulla salute. La probabilità di effetti negativi sulla salute è correlata all’ampiezza, alla frequenza e alla durata dell’esposizione a una determinata sostanza chimica.
Grazie alla maggiore precisione delle tecniche di analisi è possibile individuare un numero crescente di sostanze chimiche, sia naturali sia sintetiche, anche se presenti negli alimenti in concentrazioni estremamente ridotte. Tuttavia, queste informazioni non sono necessariamente utili se non comprendiamo quanto dannose o innocue sono tali sostanze. Per compensare la mancanza di dati tossicologici relativi a tali sostanze recentemente identificate, è stato messo a punto un sistema di valutazione della potenziale tossicità di una sostanza – la Soglia di Allarme Tossicologico (Threshold of Toxicological Concern – TTC). Questo sistema consente di stabilire le priorità per la valutazione delle sostanze chimiche.

Per molte sostanze chimiche esiste un livello al di sotto della quale una persona non subisce alcun effetto nocivo avverso per la salute. Ciò in quanto il corpo umano possiede un meccanismo che consente di eliminare rapidamente le sostanze indesiderate e riparare i danni causati a cellule e tessuti. Tuttavia, se una sostanza chimica viene consumata in quantità tal per cui il corpo non riesce più a farvi fronte, è possibile che intervengano degli effetti dannosi avversi per la salute. Il TTC utilizza tale concetto per identificare la soglia di esposizione per le sostanze chimiche di struttura conosciuta al di sotto della quale non vi è un rischio apprezzabile per la salute umana.

Test tossicologico 

Attualmente la valutazione esaustiva della tossicità di una particolare sostanza chimica richiede studi molto ampi. Può comportare studi di esposizione a lungo e a breve termine, test degli effetti su numerosi apparati dell’organismo (come il sistema nervoso, quello immunitario e quello riproduttivo). Deve essere valutato qualunque impatto sulla crescita e sullo sviluppo, oltre alla possibilità che una sostanza danneggi il DNA o sia cancerogena. Sono disponibili ampi dati tossicologici per numerose sostanze, ma possono non esservi dati per le sostanze chimiche nuove o meno conosciute; in tal caso la TTC può esserci di aiuto.

Categorie chimiche di tossicità simile 

La ragione per cui è possibile utilizzare il TTC è che le sostanze chimiche che hanno una struttura simile e appartengono alla medesima famiglia manifestano un livello di tossicità simile per l’organismo. In altre parole, tali sostanze divengono tossiche all’incirca al medesimo livello di assunzione. Approfondite analisi dei database tossicologici hanno evidenziato che esistono tre ampie categorie di classi strutturali chimiche che hanno dimostrato avere tossicità bassa, media o elevata. Ciò significa che per ciascuna categoria di sostanze chimiche è possibile calcolare una soglia generica di allarme tossicologico al di sotto della quale non vi è alcun rischio apprezzabile per la salute. Tale soglia di esposizione è denominata TTC.

Utilizzo della Soglia di Allarme Tossicologico 

La TTC è utile per valutare la sostanza a struttura chimica nota presenti negli alimenti in basse concentrazioni e per le quali mancano i dati tossicologici. Ciò può avvenire quando viene scoperto un nuovo contaminante alimentare. Le tipologie di sostanze che possono essere oggetto di indagine sono: contaminanti naturali provenienti da terreno e funghi, sostanze derivanti dalla preparazione e dall’imballaggio degli alimenti, e sostanze prodotte durante la cottura o altre modalità di lavorazione.


Per utilizzare la TTC deve essere possibile effettuare una valutazione affidabile della quantità assunta di una determinata sostanza chimica. Il livello di assunzione viene poi raffrontato paragonato alla relativa soglia di allarme tossicologico e si può quindi prendere una decisione sulla necessità di ulteriori indagini tossicologiche. Con questo approccio è possibile dedicare risorse adeguate allo studio di una determinata sostanza chimica, in proporzione al rischio per la salute umana.

Soglie generiche di allarme tossicologico nell’uomo 

Categoria Descrizione TTC mg/persona/giorno
1. Tossicità bassa Sostanze con strutture semplici per le quali esistono nel nostro organismo
modalità efficienti di disintossicazione 1,8
2. Tossicità media Sostanze meno innocue di quelle della categoria 1, ma che non contengono
caratteristiche che suggeriscano la tossicità 0,54
3. Tossicità elevata Sostanze che suggeriscono una tossicità significativa o che contengono
gruppi funzionali reattivi 0,09

Elevata potenzialità

L’approccio TTC rappresenta un importante strumento per chi si occupa della valutazione e della gestione del rischio e per il settore industriale. Procedure che utilizzano concetti simili alla TTC sono già utilizzate da organismi di vigilanza quale la European Food Safety Authority (EFSA) e il Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA) per la valutazione degli aromi e la US Food and Drug Administration (per aromi e imballi). Il concetto della TTC è stato sviluppato e perfezionato nel corso degli ultimi dieci anni sulla base di approfondite ricerche scientifiche. Grazie alla presenza di tecniche analitiche più sofisticate, che abbassano ulteriormente la soglia di individuazione delle sostanze chimiche, la TTC rappresenta un approccio efficace ed efficiente per la valutazione della tossicità potenziale, in modo da assicurare che i nostri alimenti siano sani. È possibile valutare rapidamente le basse esposizioni a nuove sostanze chimiche ed è possibile concentrare gli sforzi dove è maggiormente più necessario, evitando tutti quei test tossicologici (compresi quelli su animali vivi) che non siano necessari.

Bibliografia 

S. Barlow. Threshold of Toxicological Concern (TTC) – A tool for assessing substances of unknown toxicity present at
low levels in the diet. ILSI Europe Concise Monograph Series 2005: 1-32.

Conclusioni 

Il sistema d’allarme rapido elimina i rischi sul nascere? 

Per eliminare sul nascere i problemi dovuti agli alimenti potenzialmente non sicuri, l’UE ha istituito un sistema di allarme rapido che tutela i consumatori dal rischio di intossicazione alimentare. Il sistema rileva anche se gli alimenti contengono sostanze vietate o quantità eccessive di sostanze ad alto rischio, come residui di medicinali veterinari nella carne o di coloranti cancerogeni.
Se si rileva un pericolo, l’allarme è diffuso in tutta l’UE. Può rivelarsi sufficiente bloccare un singolo lotto ma, se necessario, si procede a bloccare tutte le partite di un particolare prodotto a livello dell’azienda, della fabbrica o del porto d’ingresso. I prodotti che si trovano giù nei depositi o nei negozi possono essere ritirati.

Decisioni fondate su una base scientifica valida 

La scienza è la base su cui si fonda l’Unione europea per prendere decisioni relative agli alimenti. Un organo indipendente con sede a Parma, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), fornisce il suo contributo quando la legislazione è in fase e comunica il suo parere ai responsabili decisionali quando si verificano emergenze alimentari.
Nel decidere come procedere la Commissione adotta un principio precauzionale. In altri termini, interviene senza aspettare la certezza scientifica quando gli scienziati affermano che esiste perlomeno un pericolo potenziale.
Considerando le quantità dei prodotti alimentari commercializzati e il numero di analisi effettuate annualmente il sistema è solo parzialmente efficace. Non potrebbe esserlo altrimenti per i costi elevati di alcune analisi e la complessità di un campionamento statisticamente efficace.

Bibliografia

D.M. Additivi 27/2/1996, n. 209; 27/2/2008; 4/3/2008.
Reg. CE n. 852, 853, 854, 1881.
Reg. CE n. 124 del 10/2/2009.
Reg. CE n. 396/2005.
EFSA pare del 21/7/2008 relativo al perfluoroctano solfonato PFOS e all’acido percluorooctanoico.

Nebbia C. e coll. (2010), Residui di farmaci e contaminanti ambientali, Ed. Edises.

lunedì 11 giugno 2012


Fattori d’inibizione di germi deterioranti e patogeni in affettati di salumeria

Carlo Cantoni
Libero Docente di Ispezione Alimenti di Origine Animale – Via Corridoni, 41 – 20122 Milano


I prodotti carnei di salumeria sono formati esclusivamente o prevalentemente da carne. A seconda del tipo di preparazione si distinguono in prodotti salmistrati crudi (prosciutto e simili, salami), prodotti salmistrati cotti (prosciutto cotto, spalla cotta, mortadella, wurstel ecc.), salsicce crude e salsicce scottate.
Nella tabella n. 1 si è riportata la classificazione tecnologica dei prodotti di salumeria.

Tabella n. 1. Classificazione dei salumi.

1) Salumi costituiti da arti intieri:
a) prodotti salati e stagionati crudi (prosciutto crudo, spalla, speck, lonza, coppa o capocollo, bresaola, lardo, pancetta, ecc.;
b) prodotti salati e cotti (prosciutto cotto, spalla, cotechini, zamponi, wurstel, ecc.).
2) Salumi e insaccati costituiti da carni e grassi tritati:
a) insaccati freschi (salsicce, ecc.);
b) insaccati stagionati (salami, sopresse, spianate, salsicce stagionate);
c) insaccati cotti con impasto tipo farcia: mortadelle, wurstel precotti, ecc.).
3) Salumi di fusione e loro sottoprodotti:
a) strutto;
b) cioccolata;
c) ciccioli

Attuale presentazione commerciale dei prodotti di salumeria

Lo sviluppo delle tecniche moderne di confezionamento degli alimenti sottovuoto o in atmosfera protettiva hanno permesso la diffusione di affettati di prodotti di salumeria, garantendo sia la loro conservabilità per tutto il periodo di vita commerciale stabilito dal produttore, sia la loro sicurezza e salubrità e offrendo una maggiore praticità d’uso.
Malgrado tutti questi progressi la contaminazione nella catena alimentare è sempre possibile, a causa di agenti presenti nelle materie prime o introdotti durante le procedure di confezionamento.

Fattori condizionanti lo sviluppo di batteri nei salumi non confezionati e confezionati sottovuoto o in atmosfera modificata (MAP)

Secondo la teoria di Leistner (2000) esistono molti parametri, fisico, chimici in grado di influenzare lo sviluppo e la colonizzazione dei microrganismi negli ambienti nei quali sono conservati questi alimenti. Essi vengono raggruppati in due categorie: parametri intrinseci e parametri estrinseci (Leistner, 2000).e sono riportati nella seguente tabella (n. 2).

Tabella n. 2. Parametri intrinseci ed estrinseci condizionanti i microrganismi nei salami.

FATTORI INTRINSECI
1) pH
2) contenuto di umidità
3) disponibilità di acqua
4) potenziale ossido-riduttivo
5) struttura fisica alimento
6) proprietà nutritive
7) eventuali agenti antimicrobici presenti.

1) un basso pH (acido) favorisce crescita di LIEVITI e MUFFE,con un pH alto (alcalino o neutro) nel deterioramento predominano BATTERI (es. carni) con proteolisi e DISGREGAZIONE ANAEROBICA delle proteine (PUTREFAZIONE)
2 I diversi tipi di deterioramento ,a seconda del substrato che predomina nell’alimento,sono

proteine (proteolisi o deaminazione)
carboidrati (idrolisi, fermentazione)
lipidi (idrolisi)

3) influenza sulla capacità di un microrganismo di colonizzare gli alimenti è possibile controllare i processi di alterazione ad es. sottoponendo un alimento ad disidratazione ® aggiunta di grosse quantità di zucchero e sale, i microrganismi vanno incontro a disidratazione per le condizioni ipertoniche creatasi e arresto crescita microbica (eccetto i microorganismi osmofili).
FATTORI ESTRINSECI
Temperatura
Umidità relativa
Presenza di O2 e CO2 (confezionamento)

Prodotti cotti

La contaminazione batterica dei prodotti cotti è dovuta soprattutto a batteri lattici che possono causare le contaminazioni e alterazioni raccolte nella tabella n. 3.

Tabella n. 3. Contaminazione dei prodotti affettati cotti.

EFFETTO
SINTOMI
CAUSE
AGENTE
Inverdimento
(superficiale e al cuore – meno frequente)
Chiazze o striature a contorni irregolari di colorito verdognolo bruno
Reinquinamento superficiale successivo alla fase di cottura (cattive norme igieniche)
Batteri lattici (eterofermentanti)
Rigonfiamento
Produzione CO2 con rigonfiamento a seguito di fermentazione zuccheri
Reinquinamento superficiale successivo alla fase di cottura (cattive norme igieniche)
Batteri lattici (eterofermentanti)
Lactobacillus fermentum, L. brevis etc.
Inacidimento
Forte abbassamento dell’acidità conseguente alla produzione di acido lattico
– Sopravvivenza alla cottura (batteri lattici termoresistenti)
– Sviluppo durante la conservazione di batteri lattici psicotropi
Batteri lattici (omofermentanti)
Produzione idrogeno solforato
Odore sgradevole spesso accompagnato da inverdimento
Prolungata conservazione
Lattobacilli
Filamentosità
Viscosità a livello superficiale
Reinquinamento superficiale successivo alla fase di cottura (cattive norme igieniche)
Batteri lattici
Leuconostoc mesenteroides, L. brevis
Colliquazione
Colliquazione tessuto muscolare
Resistenza alla cottura
Enterococcus falcium

Nei prodotti cotti la contaminazione è dovuta a impropria igiene di lavorazione e può verificarsi lungo la catena di lavorazione. La lavorazione del prosciutto cotto e simili avviene con la salagione e la zangolatura, la cottura a 70°C-72°C, la pressatura negli stampi e l’estrazione dagli stessi, seguono la toelettatura, il confezionamento in busta di accoppiato di alluminio, la pastorizzazione a temperature superiori a 100°C e per un tempo necessario ad eliminare i germi reinquinanti durante le fasi precedenti di toelettatura, raffreddamento e affetta mento. Soprattutto in questa fase terminale (che dovrebbe venire eseguita in camera bianca, si può verificare una ricontaminazione da germi alteranti e da germi patogeni.
I batteri alteranti sono batteri lattici come Leuconostoc mesenteroires, Leuconostoc mesenteroides subsp. mesenteroides, Lactobacillus sakei, Lactobacillus sakei subsp. carnosus, Lactobacillus curvatus subsp. melibiosus, Lactobacillus plantarum, Carnobacterium divergens e altre Carnobacterium spp.
È possibile anche la presenza di Streptococcus thermophilus, di Enterococcus faecium ed Enterococcus faecalis (Korkeala e coll., 1997; Bjorkroth e coll., 1998; Chenoli e coll., 2007; Hu e coll., 2009).
Qualora presenti per insufficiente trattamento termico nessuno dei fattori di contenimento è in grado di impedire il loro sviluppo nel prodotto carneo confezionato sottovuoto per l’elevata Aw dei substrati carnei (sup. a 0,96).
Nella tabella n. 4 sono riportati esempi della resistenza al trattamento termico (tempi di riduzione decimale) di alcuni microrganismi.

Tabella n. 4. Tempi di riduzione decimale di alcuni microrganismi.

Germi non sporigeni
50°C
55°C
60°C
65°C
70°C
75°C
80°C
Salmonella ssp. (media)



0,02-0,25 min
1,2 sec


Salmonella typhimurium



0,06 min



Salmonella senftenberg



0,8-1 min



Salmonella typhi





1 sec

Mycobacterium tuberculosis



12-18 sec

5 sec

Listeria monocytogenes


5-8 min

0,1-0,3 min


Staphilococcus aureus



0,2-2 min


2 sec
Campylobacter
1,1 min






Enterobacter





3 sec

Lactobacillus spp.



0,5-1 min



Germi alteranti lieviti e muffe



0,5-3 min




Spore batteriche
100°C
105°C
110°C
121°C
Bacillus spp.
0,1-0,5 min



Bacillus cereus
5 sec


0,5 sec
Bacillus antracis
15 min



Bacillus stearothermophilus


< 300 min
4-5 min
Cl. botulinum type E
0,01 min
< 1 sec


Cl. botulinum spp.
50 min


0,1-0,2 min
Cl. sporogenes



0,1-1,5 min

Più resistenti 4tra i germi asporigeni sono gli enterococchi per i quali il tempo di riduzione decimale è di 13,6 minuti a 70°C (Pedrazzoni e coll., 1995).
Diverso, invece, è l’effetto di alcuni fattori protettivi nei confronti di patogeni eventualmente presenti, rappresentati da Cl. botulinum, C. perfringens e L. monocytogenes.

Clostridium botulinum

Il batterio appartiene al phylum dei Firmicutes (ovvero batteri Gram positivi) e alla classe dei Clostridi, Il genere Clostridium è collocato all’interno della famiglia Clostrodiaceae dell’ordine Clostridiales
Si conoscono 7 tipi sulla base della specificità antigenica della neurotossina. I sierotipi A, B, E, F causano botulismo umano; i sierotipi A e B causano anche il botulismo animale. I sierotipi C e D causano solo botulismo animale, in particolare in bovini. Su base biochimica, si distinguono ceppi proteolitici (corrispondenti ai sierotipi A ed alcuni ceppi di B e F) e non proteolitici (E ed alcuni ceppi di tipo B ed F).
Più dettagliatamente, le caratteristiche di C. botulinum sono riportate nella tabella n. 5.

Tabella n. 5. Clostrudium botulinum: gruppi, tossine e alimenti.

Gruppo
Tossina
formata
Specie principali coinvolte
Alimenti implicati
I (proteolitici)
A
B

F
Uomo, pollame
Uomo, bovini, equini

Uomo
Conserve domestiche, cibi a bassa acidità
Conserve domestiche, cibi a bassa acidità, insilati contaminati con carcasse di roditori
Conserve domestiche
II (non proteolitici)
B
E
F
Uomo
Uomo, pesce (salmone)
Uomo
Rare epidemie dovute a salumi fatti in casa
Prodotti a base di pesce
Rari casi
III
C

D
Uccelli, bovini, cavalli

Bovini, ovini
Carcasse di vertebrati e invertebrati
Insilati, lettiere
Carcasse o ossa di piccoli animali
IV
G
?



gruppo I
gruppo II
– Valore minimo di pH per la crescita
4,5
5,0
– Valore minimo di Aw per la crescita
0,95
0,97
– Temperature di sviluppo
minima
massima
ottimale
concentrazione di inibizione di NaCl

+ 10°C
45-50°C
40°C
10%

+ 3,3
40-45°C
30-35°C
5%

Clostridium perfringens

C. perfringens appartiene al phylum dei Firmicutes (ovvero batteri Gram positivi, e alla classe dei Clostridi. Il genere Clostridium è collocato nella famiglia Clostridiaceae e all’ordine delle Clostridiales.
Vi sono cinque tipi di C. perfringens (A, B, C, D. E) che sono identificati con il tipo principale di tossina da essi prodotta (alfa, beta, iota, epsilon e teta sono prodotte complessivamente 12 tossine).
Le principali tossine prodotte da ceppi di C. perfringens sono riportate nella tabella n. 6.

Tabella n. 6. Tipi di C. perfringens e tossine prodotte.

Ceppi di C. perfringens
Tossine
tipo A
alfa
tipo B
alfa, beta, ed epsilon
tipo C
alfa, beta
tipo D
alfa, epsilon
tipo E
alfa, iota

I ceppi responsabili delle intossicazioni umane appartengono ai ceppi A, i quali elaborano una enterotossina (CPE+) sensibile al calore (75°C).
I ceppi causa di intossicazione nella specie umana sopravvivono la trattamento a 100°C. Il C. perfringens cresce in un intervallo di temperatura compreso tra 15°C e 50°C con un optimum di 43-45°C. Il valore minimo di Aw è 0,92-0,95 e il pH minimo 5,0.
L’inibizione della crescita dei clostridi nei prosciutti cotti è dovuto a due fattori di protezione: lo stress termico, e la capacità del nitrito di inibire l’accrescimento dei germi dopo la germinazione per l’inibizione do enzimi contenenti ferro e zolfo all’interno delle cellule dovuta all’ossido d’azoto oppure inibendo la germinazione delle spore.

Listeria monocytogenes

Lysteria monocytogenes è un batterio Gram positivo, asporigeno, anaerobio facoltativo mobile a 28°C per la presenza di flagellli peritrichi (da 1 a 5), catalasi positivo ma ossidasi negativo. Il microrganismo cresce in un range di temperatura molto largo (tra i + 3°C e i 45°C con un Optimum tra i 30°C e i 38°C. Esso si mantiene vitale anche a 0°C e fino a temperature prossime a quelle usate per la pastorizzazione, questo fa sì che la sua presenza tra i microrganismi infettanti negli alimenti a consumo umano ne sia tra quelli più presenti ed infestanti.
Ha buona resistenza a condizioni di pH (tra 4,4 e 4,6) e d temperatura, caratteristiche che la rendono una potenziale contaminante di alimenti, anche se conservati in frigorifero. È un parassita intracellulare, riuscendo a evadere efficacemente dal fagosoma.
Appartiene al genere Listeria, famiglia Listeriaceae, ordine Bacillales, classe Bacilli, phylum Firmicutes.
Lo sviluppo di L. monocytogenes è condizionato dall’aggiunta di nitrito al prodotto carneo.
Parecchi ricercatori (Buchanan e coll., 1989; Juntilla e coll., 989; McClure e coll., 1993; McKeiler e coll., 1987; Ngutter e coll., 2003; Nyachuba e coll., 2007; Augustin e coll., 2007) hanno dimostrato l’attività di NaNO2 verso alcuni germi patogeni compresa L. monocytogenes, è potenziata in concomitanza per la presenza di NaCl, di temperatura di refrigerazione e di Aw (0,94). La quantità di NaNO2 attiva è risultata pari a 100 ppm.
Ad esempio Duffy e coll. (1994) hanno inoculato fette di prodotti carnei cotti confezionati sottovuoto conservandoli a 0°C e 5°C. Con la loro esperienza i ricercatori citati hanno riscontrato l’aumento della fase di latenza (log fase) in presenza di NaCl durante il calo del pH (da 6m5 a 5,9) e dell’Aw (0,99 ® 0,96) con arresto di crescita alle basse temperature di conservazione.
In un’altra esperienza, ricercatori della Iowa University hanno constatato l’arresto di crescita di L. monocytogenes in presenza di lattato/diacetato (Schrader e coll., 2009). L’aggiunta del 0,8-3,6% di NaCl e del 3,2% di lattato e del 0,24% di diacetato al ??? (30-100 ppm) hanno dimostrato attività antilisteria.

Salami e prosciutti crudi

I possibili contaminanti di prodotti e di insaccati fermentati e di prodotti stagionati sono riportati nella tabella n. 7.

Tabella n. 7. Contaminazioni di insaccati fermentati stagionati e di prodotti stagionati.

Contaminazioni su insaccati fermentati stagionati
Effetto
Controllo agente
Cause
Agente
Inquinamento batterico patogeni
Impiego di colture batteriche selezionate
– Eccessivo inquinamento prodotto durante le fasi di lavorazione
– Fermentazione non corretta
Salmonelle
Listeria m.
Staphylococcus aureus
Clostridium perfringens,
Clostridium botulinum
Muffe tossigene in superficie
Impiego colture muffe selezionate
Ammuffimento naturale e non controllato della superficie
Aspergillus, Penicillium produttrici di micotossine
Nitriti – nitrati
Impiego nelle dosi stabilite per legge
Impiego eccessivo


Contaminazioni su prodotti stagionati
Effetto
Sintomi
Cause
Agente
Ammuffimento
Ammuffimento superficiale e in caso di lesioni anche in profondità
Stagionatura non corretta
Penicillium,
Aspergillus
Inacidimento
Forte abbassamento dell’acidità
Si verifica nei salumi sottovuoto
Streptobatteri
Putrefazione
Cattivi odori in corrispondenza dell’osso
Non omogenea penetrazione del sale
Generi Clostridium, Sarcina, Bacillus, Aerococcus
Viscosità superficiale
Viscosità a livello superficiale
Eccesso umidità e scarsa ventilazione durante la stagionatura
Batteri lattici

Salami

I salami fermentati prodotti in UE si dividono in due gruppi:
1) salami crudi affettabili (salami, Summer sausage, ecc.);
2) salami crudi spalmabili (Teewurst-Mettwurst).
In base al metodo di fermentazione si distinguono in:
– salami a fermentazione rapida;
– salame a fermentazione medio-rapida;
– salami fermentati.
A seconda dell’umidità contenuta si dividono in:
– umidi con 10% di calo peso;
– semisecchi con il 20% di calo peso;
– secco con il 30% di calo peso.
Nel nostro Paese sono preparati salami del primo gruppo in prevalenza.
Nei salami e, anche nei prodotti a pezzo carneo unico (prosciutti, coppe, bresaole ecc.) i fattori più comuni responsabili della loro salubrità e conservabilità (stabilità) sono:
• attività dell’acqua (aw);
• pH;
• umidità relativa tempo/temperatura;
• % di NaCl nelle salamoie;
• tipo di microflora;
• tecnica di lavorazione.
Questi fattori possono pure riuscire importanti per garantire la salubrità/stabilità di alcuni prodotti:
• acidità titolabile (% acidità);
• contenuto di umidità;
• confezionamento sottovuoto o in atmosfera modificata (MAP);
• pressione idrostatica (HPP);
• estratti di spezie e spezie stesse.
Con i prodotti carnei essiccati, l’attività dell’acqua è probabilmente il fattore più importante a cui si deve la loro stabilità. Per i più comuni microrganismi possibilmente presenti in questi prodotti i valori minimi di aw sono i seguenti:
Campylobacter 0,98
Pseudomonas 0,97
C. botulinum (non proteolitici) 0,96
C. botulinum (proteolitici) 0,93
C. perfringens 0,93
– la maggior parte di LAB 0,95
– Salmonelle 0,94
E, coli =157:H17 0,95
L. monocytogenes 0,92-0,94
– alcuni LAB 0,92
S. aureus (anaerobico) 0,90
S. aureus (aerobio) 0,85
A. flavus 0,80

Nella tabella seguente sono riportate le aw medie di prodotti di salumeria prodotti nel nostro paese.

Tabella n. 8. aw e stabilità commerciale di salumi.

Prodotto
aw
pH
Confezionamento
Temperatura/Tempo
T°C
Giorni
Prosciutto crudo
0,90 – 0,93
6,0
Sottovuoto
4, 20
60
Prosciutto crudo
0,90 – 0,93
6,0
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 20
60
Salame Milano
0,95
5,4
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 8, 15, 21, 25
90
Salame Milano
0,94
5,2
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 8, 15, 21, 25
90
Salame magro tondo
0,94
5,1
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 8, 15, 21, 25
90
Salame gentile
0,93
5,7
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 8, 15, 21, 25
90
Salame magro pressato
0,95
5,2
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 8, 15, 21, 25
90
Pancetta arrotolata
0,94
5,7
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 8, 15, 21
60
Bresaola
0,93
6,0
AP (30% CO2 + 70% N2)
4, 8, 15, 21
60

Salami stagionati

I salami stagionati prodotti nel nostro Paese sono microbiologicamente salubri e stabili. Ciò è ottenuto per la combinazione contemporanea di differenti fattori come individuato da Leistner (1995). La salubrità dei prodotti essiccati è basata sulla migrazione del sale nella carne e dall’aggiunta di nitrito. Il sale diminuisce l’attività iniziale dell’acqua inibendo o ritardando la crescita di molti microrganismi deterioranti favorendo nel contempo, lo sviluppo di LAB normali o di LAB starter e di stafilococchi starter.
L’aggiunta di nitrito all’inizio del processo fermentativo per la stabilità del prodotto specialmente perché inibisce lo sviluppo di salmonella (Poulanne, 1977). Il nitrito sotto forma di acido nitroso in dissociato (HNO2) è in grado di passare la barriera ionica della parete della cellula batterica e di disturbare la funzionalità degli enzimi batterici e quindi la crescita batterica (Cook e coll., 1983; Pierson, 1987). L’abbassamento del pH verso valori di 5 provoca la riduzione del nitrito sotto forma di ossido d’azoto (3H2NO2 ® 2NO + H2O + HNO3) (Poulanne, 1977).
Durante il primo giorno di fermentazione la crescita dei microbi nell’impasto del salame utilizza tutto l’ossigeno presente nella matrice carnea e inglobato durante la tritatura. Ciò riduce il potenziale di ossidoriduzione (redox) rendendo il nitrito aggiunto più efficace e blocca la crescita dei batteri aerobi Gram negativi (Pseudomonas e altri) presenti nella carne fresca (Lucke e coll., 1987; Krockel e coll., 1995). Dopo pochi giorni di fermentazione si verifica la presenza di un elevato numero di LAB, i quali scindendo gli zuccheri naturali, o quelli aggiunti, producono acido lattico con conseguente diminuzione del pH con conseguente leggera azione inibenti i batteri non lattici (Luecke, 1980; Cherrington e coll., 1991).
L’ostacolo (o fattore) principale che favorisce la crescita di lattobacilli e di stafilococchi coagulasi negativi è la bassa attività dell’acqua del salame (Krockel, 1995). Il basso valore di pH diminuisce la capacità di ritenzione dell’acqua della carne favorendo il decorso della disidratazione del tessuto carneo.

Inibizione di batteri patogeni presenti nei salami fermentati

La crescita di enterobatteri, come la Salmonella è inibita dell’acido nitroso derivato dal nitrito, dalla bassa tensione dei ossigeno e dall’attività dell’acqua (aw) (Smith e coll., 1975; Poulanne, 1977; Sirvie, 1977).
In proposito, la rapida diminuzione dell’attività dell’aw al di sotto di 0,94 ha l’effetto di distruggere gli enterobatteri rompendo la parete di seguito alla sottrazione di umidità.
La combinazione sale, nitrito, bassa aw e pH impedisce lo sviluppo di L. monocytogenes come verrà specificato di seguito.

Inibizione della crescita di Listeria nell’impasto di salami interi ed affettati

Diversi lavori sono stati effettuati da ricercatori italiani e stranieri per verificare il comportamento di L. monocytogenes in fette di salame. Si elencano i più significativi: Zdolee e coll. (2007), Garofani e coll. (2008), Coppet (2007), Comin e coll. (2009),  De Bernardinis e coll. (2009), Dominelli e coll. (2011).
Tutti questi ricercatori hanno dimostrato non solo l’attività inibitrice degli impasti nei confronti di L. monocytogenes, ma anche la diminuzione del numero di cellule del microrganismo durante la stagionatura o il confezionamento delle fette in MAP.
In particolare Grisenti e coll. (2009) hanno potuto dimostrare che L. monocytogenes non si sviluppa nei salami giunti a maturazione che presentano un valore di aw compreso da 0,92 a 0,95 e dei valori di pH da 5,1 a 5,7. Questa inibizione è stata osservata sia a temperature di refrigerazioni normali (da +4 a +8°C) sia a temperatura ambiente di 15°, 21° e 25°C.
Anche E. coli O157:H7 è inibito ed eliminato nei salami essiccati stagionati tanto che il FSIS ha sospeso le indagini dopo aver fatto esaminare 10.000 campioni dal 2000 al 2009 (Scott-Thomas, 2011).

Prodotti carnei salati ed affettati (bresaole, pancetta, prosciutti)

Grisenti e coll. (2008) hanno valutato il possibile accrescimento di L. monocytogenes in pancetta preaffettata e confezionata in atmosfera protettiva durante la vita commerciale del prodotto. I ricercatori non hanno registrato alcun aumento delle L. monocytogenes inoculate evidenziando contemporaneamente una drastica riduzione delle cellule a 4°C, 8°C, 15°C. Per questo prodotto i fattori inibenti sono dovuti ad aw, nitrito, e con inoltre probabilmente  agli acidi grassi liberi prodottosi per auto lipolisi durante la maturazione e per durata della vita commerciale.
Grisenti e coll. (2004) hanno controllato il comportamento di L. monocytogenes in prosciutti crudi interi, in tranci confezionati e in fette in atmosfera protettiva. I valori di aw dei prodotti erano compresi tra 0,90 e 0,93 e le temperature di conservazione alle quali son ostati mantenuti risultavano pari a 3-8°C e 20°C e in tutti i campioni esaminati questi ricercatori hanno constatato nessun accrescimento di L. monocytogenes con la riduzione progressiva delle cellule batteriche.
Nel 2005 Comi e coll. hanno esaminato l’andamento di L. monocytogenes in porzioni di prosciutto crudo confezionati sottovuoto e in MAP (15% CO2/85% N2) una parte addittivata con sodio lattato/sodio diacetato (1,5%-1%) registrando la riduzione del numero delle Listerie inoculate indipendentemente dall’attività dei conservanti aggiunti.
Nel 2009 Barbuti e coll. hanno validato il processo produttivo del prosciutto crudo per l’inattivazione di L. monocytogenes. I risultati ottenuti con la sperimentazione hanno dimostrato che il processo produttivo è in grado di maturare sia L. monocytogenes che Salmonella spp. In questa lavorazione i fattori inibenti sono la modalità di salagione iniziale e la progressiva diminuzione della aw tessutale.
Nel 2010 Boni e coll. hanno verificato il comportamento di L. monocytogenes durante il periodo di vita commerciale del prosciutto crudo di Modena, nell’ipotesi di ricontaminazione in corso di porzionatura in tranci o successivo confezionamento sottovuoto.
In base ai risultati ottenuti questi ricercatori hanno evidenziato che il prosciutto crudo di Modena non è un alimento in grado di supportare la crescita di L. monocytogenes. Tale situazione si è verificata sia a 5°C, 10°C e 20°C.
Altro prodotto esaminato è stata la bresaola.
Si sono occupati del salume Cantoni e coll. (2006), Frustoli e coll. (2007) e Miraglia e coll. (2009).
I primi ricercatori citati hanno escluso la possibilità di sopravvivenza di L. monocytogenes durante il processo di produzione. I restanti hanno considerato la possibilità di ricontaminazione del prodotto durante l’affettamento e il comportamento di L. monocytogenes durante la vita commerciale.
I risultati ottenuti in queste prove hanno dimostrato la riduzione del patogeno durante la vita del prodotto garantendo così la sicurezza alimentare del salume.
Le conclusioni raggiunte segnalano l’impossibilità di crescita di L. monocytogenes e la sua costante inattivazione durante la conservazione e quindi i risultati ottenuti devono essere attribuiti alle caratteristiche chimico fisiche del prodotto (sale, aw e nitrito) oltre alla competizione esercitata dai lattici sviluppatisi nelle confezioni.
Inoltre, risultati identici, relativi al comportamento di L. monocytogenes, E. coli O157:H7 e Salmonella spp. erano stati ottenuti da Ng e coll. nel 1997.

Altri fattori condizionanti lo sviluppo di germi alteranti o deterioranti gli alimenti

Il confezionamento sottovuoto e in atmosfera modificata
1) Confezionamento sottovuoto
Le azioni del sottovuoto nei confronti dei microrganismi sono duplici e precisamente una azione inibitrice ed una selettiva come di seguito sintetizzato:
– Azione inibitrice:
• particolarmente accentuata sui germi aerobi,
• aumento della fase di latenza,
• ridotta velocità di moltiplicazione,
• limitata densità cellulare massimale (numero germi in fase stazionaria).
– Azione selettiva:
• soppressione quasi totale Pseudomonas (70% flora microbica iniziale),
• moltiplicazione anaerobi facoltativi,
• batteri lattici, in particolare dominano i lattobacilli (50-60% del totale),
• i lattobacilli inibiscono le Enterobacteriaceae,
Brochothrix thermosphacta: nelle carni a pH elevato raggiunge il 40%
Salmonella e C. botulinum sono inibiti totalmente se sono rispettare le condizioni di refrigerazione.

Il confezionamento in atmosfera protettiva
Il confezionamento in MAP consiste nella estrazione dell’aria dalla confezione con la sua sostituzione con gas quali la O2, la CO2 e l’N2 in proporzioni diverse a seconda del prodotto.
I vantaggi del confezionamento in atmosfera protettiva consistono in:
1) eliminazione della confezione dovuto alla pressione esterna;
2) miglioramento delle caratteristiche batteriostatiche della confezione e, quindi, aumento della vita commerciale;
3) mantenimento del colore rosso della carne rossa.
Il gas attivo nei confronti dei batteri aerobi deterioranti è la CO2 che si scioglie nell’acqua tessutale e nel grasso abbassando il pH del prodotto carne.
Per i salumi affettati si usano di solito concentrazioni di 30% CO2 + 70% di N2.

Impiego di colture bioprotettive

Colture batteriche possono venire aggiunte a prodotti a base di carne per impedire la crescita di patogeni e per aumentare la loro vita commerciale e sono denominate “protettive”.
La loro capacità antagonista è dovuta alla inibizione per competizione dei nutrienti e alla produzione di uno o più metaboliti attivi riportati e sono costituite da germi lattici (LAB) nella tabella n. 9.

Tabella n. 9. Effetti antimicrobici dei batteri lattici.

Effetto antimicrobico…
Diretto contro…
Sintesi di acidi organici
Batteri Gram negativi putrefattivi: Enterobacteriaceae, Pseudomonas spp., Alteromonas spp., Shewanella spp.
Sintesi di batteriocine (polipeptidi a basso peso molecolare, 35.000-45.000 D capaci di bloccare la crescita di altre forme microbiche)
Altri batteri lattici

Batteri Gram positivi alteranti
Produzione di perossido di idrogeno (acqua ossigenata H2O2)
Batteri Gram negativi e Gram positivi putrefattivi e patogeni
Metaboliti a basso peso molecolare (diacetile, reuterina)
Per lo più, batteri Gram negativi
Effetto competitivo per principi nutritivi e spazio vitale
Batteri Gram positivi e Gram negativi alteranti

Le batteriocine sintetizzate dai lattici esercitano azioni antibatteriche diverse, hanno diverso peso molecolare, diversa origine genetica e proprietà biochimiche e quindi sono divise in quattro gruppi: I) lantobiotici; II) piccoli peptidi stabili; III) proteine di grosse dimensioni labili al calore e IV) complessi proteici (Nes, 1996; Klaenhammer, 1996).
Il gruppo II è il più interessante per l’industria delle carni.
Per esempio, la curvicina A (Tichaczek e coll., 1992) e le sakacine A.PeK (Holk e cll., 1992; Tichaczek e coll., 1992; Hugas e coll., 1995) prodotte da ceppi di L. curvatus e di L. sakei sono molto attive nei confronti degli altri LAB e di L. monocytogenes, mentre la pediocina PA-1/AcH sintetizzata da Pediococcus acidilactici, P. parvulus e L. plantarum inibiscono la crescita di S. aureus, L. monocytogenes e C. perfringens legandosi alla parete cellulare (Bhunia e coll., 1988, 1991; Christensen e coll., 1992; Luchonsky e coll., 1992; Klaenhammer, 1993; Eijsink e coll., 1998). Similmente al modo di azione della lisina (classe I), anche le batteriocine di classe II formano pori nelle pareti cellulari batteriche che causano la fuoriuscita di ioni (Bhunia e coll., 1991; Chikindas e coll., 1993; Kaiser e coll., 1996; Chen e coll., 1997) ma non si verifica alcuna scissione dell’ATP causata dai piccoli pori provocati da queste batteriocine differentemente da quanto avviene con i pori formati dalle batteriocine del tipo I. Tuttavia l’ATP cellulare è consumato per mantenere integre le forze protoniche dissipate dalla formazione dei pori (Chen e coll., 1995).
L’attività antibatterica delle batteriocine si esercita solo nei confronti dei germi Gram positivi poiché i batteri Gram negativi posseggono due membrane attraverso le quali le batteriocine idrofobiche non possono penetrare (Helander e coll., 1997). Lo strato più interno della membrana esterna, infatti, è fatto da glicerofosfolipidi, mentre quello esterno è formato da lipopolisaccaridi. A loro volta i lipopolisaccaridi sono composti da uno strato interno lipidico e idrofobico e da uno esterno eteropolisaccaridico idrofilico, che è stabilizzato da cationi divalenti (Nikido e Vaara, 1985). Questa struttura spiega l’impossibilità di penetrazione delle batteriocine prodotte dai LAB. Ceppi di Lactobacillus sakei e di Lactobacillus curvatus sono stati impiegati per impedire lo sviluppo di lattici deterioranti in fette di prosciutto cotto confezionate in atmosfera protettiva (CO2/N2) con esito favorevole consentendo l’aumento della durata della vita commerciale (Bredholt e coll., 2001; Meetaxopoulus e coll., 2002; Hu e coll., 2008; Comi e coll., 2011). Va segnalata che l’inibizione dei lattici deterioranti è rafforzata anche dall’azione della CO2 presenti nella MA.
L. sakei (bac +) inoculato in prosciutto cotto ha dimostrato anche la capacità di inibire lo sviluppo di L. monocytogenes (Alves e coll., 2006).
Nei salami crudi l’attività inibente è stata documentata più volte. Come esempio riportiamo il protocollo delle prove eseguite dalla BIOAGRO (comunicazione personale) con un ceppo di L. sakei (SA8) inoculato in impasto di salame contaminato con Listeria.
L’impasto carneo per salame nominato SA8 è stato inoculato con 1×106 U.F.C./g di Lactobacillus sakei TH579 (concentrazione consigliata nella busta commerciale di SA8) e con 1×103 U.F.C./g di Listeria innocua. Il campione di controllo è stato inoculato solamente con 1×103 U.F.C./g di Listeria innocua.
Il test è stato condotto in quattro ripetizioni; ad ogni prova sono state effettuate delle conte microbiche in terreno MRS pH 5,7 incubato a 30°C × 72 ore per i lattobacilli e in terreno ALOA 37°C × 48 ore per Listeria, le conte sono state eseguite al momento dell’impasto, a sette e a venti giorni. I valori riportati nella tabella n. 10 sono la media delle quattro prove.

Tabella n. 10. Cariche microbiche espressse in U.F.C./g.

Campione
Stagionatura
giorni
Listeria
U.F.C./g
Lattici
U.F.C./g

Controllo
0
7
20
1,0E+03
6,1E+0,4
6,7E+05
4,6E+04
6,9E+07
1,3E+08

SA8
0
7
20
1,1E+03
8,1E+0,2
6,1E+02
8,5E+05
4,4E+08
5,3E+08

Nel campione SA9 risulta ben evidente che lo sviluppo di Listeria viene completamente inibito, mentre nel campione di controllo (ctr) Listeria si sviluppa liberamente sino ad arrivare a una concentrazione superiore di ben due logaritmi in 2 giorni (Fig. 1).
La popolazione di batteri lattici indigeni nel controllo presenta una concentrazione iniziale più bassa rispetto al campione inoculato con Lactobacillus sakei, il tasso di crescita è comunque simile, entrambi i campioni arrivano ad una concentrazione finale superiore a 108 U.F.C./g, evidentemente i batteri lattici indigeni non sono in grado di competere e di frenare la crescita di Listeria.
L’azione inibitoria di Lactobacillus sakei nei confronti di Listeria si interpreta in una rapida colonizzazione dell’impasto e nella conseguente attività acidificante, oltre che nella competizione per le sostanze nutritive. Il ceppo inoculato presenta un buon tasso di crescita anche a basse temperature, l’acido lattico prodotto assieme all’azione del sale e alla progressiva riduzione dell’acqua libera blocca lo sviluppo di Listeria.
Risultati analoghi sono stati ottenuti di recente da Castro e coll. (2011).

Metodi chimici e fisici per la salubrità di salumi affettati

Due acidi organici, il potassio lattato (PURASAL, Hipure P) e una miscela di potassio lattato e di sodio diacetato hanno dimostrato di esercitare effetto batteriostatico nei confronti di L. monocytogenes ed è attualmente impiegata in insaccati (Millefont e coll., 2007).
Un nuovo conservante è stato ultimamente messo a punto dalla LAMIRSA con la collaborazione della tedesca Inc. USA e si tratta dell’arginato laurico.
Il composto è un etilestere N°lauril-Larginina-monocloridrato denominato LAE.
LAE è un conservante efficiente con un largo spettro di azione, attivo sui batteri Gram positivi e Gram negativi, lieviti e muffe (Univ. Barcellona, 2004). La contaminazione microbica e la moltiplicazione avvengono nella fase acquosa dei prodotti alimentari, l’eccezionale attività del LAE è parzialmente dovuta alla solubilità del composto (g 247/l di acqua) il coefficiente di partizione tra acqua e olio è superiore a 10). LAE è stabile e mantiene la sua attività a pH compresi tra 3 e 7 e a temperature sotto 106,1°C (LHA, 2001 a,b).
La proprietà antibatterica di LAE è dovuta alla sua azione sulla membrana citoplasmatica dei microrganismi in modo tale da alterare i processi metabolici e il loro normale processo vitale è inibito senza provocare la lisi cellulare.
Il prodotto può essere addizionato ai prodotti carnei anche prima della loro cottura.
Per concludere, l’effetto dell’applicazione di pressione elevata per eliminare i batteri presenti nelle fette di prosciutto cotto confezionate sottovuoto è stato attuato da Han e coll. (2011) impiegando pressioni di 400-600 MPa per 10 minuti alla temperatura ambiente di 22°C.
Il trattamento ha dimostrato un effetto sul maggior numero dei batteri alteranti presenti sulle fette di prosciutti cotti.
Ambedue gli impieghi dei sistemi di sanificazione devono essere continuati per ulteriori approfondimenti.

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Riassunto

Sono descritte le attività di fattori estrinseci ed intrinseci inibenti i batteri patogeni e deterioranti in affettati di salumeria.

Summary
Spoilage and pathogenic inhibition of intrinsec fied extrinsec factors in sliced meat products

The intrinsic and extrinsic factors which are able to  inhibit the growth of spoilage and pathogenic bacterial have been described in detail in the text.